Newsletter numero 238, 18 febbraio 2020

Conferenza pubblica a Roma

Circolo Mario Mieli via Efeso 2A
29 febbraio 2020, ore 16.30

Sul tema:

Il futuro e le sue conseguenze

Nella scala dei valori di ogni rivoluzione prima viene il futuro, perché il passato e il presente fanno parte di obbiettivi già raggiunti. Una completa teoria della rivoluzione non consiste tanto nella descrizione dell'obbiettivo quanto dei mezzi necessari per raggiungerlo. L'obbiettivo e il percorso per raggiungerlo non possono essere pensati isolatamente. Considerare solo l'obbiettivo significa trattarlo come un'utopia; dedicarsi solo al percorso significa abbandonarsi all'attivismo. Il percorso è disegnato dal futuro sulla base delle determinazioni del passato.

Guerra nel ciberspazio

Huawei è un gigante industriale cinese di Shenzhen che tende senza mascherarlo a una posizione di monopolio delle reti mobili di quinta generazione. Il governo degli Stati Uniti ha fatto arrestare in Canada Meng Wanzou, figlia del fondatore dell'azienda e direttore finanziario di quest'ultima. L'accusa è di aver violato l'embargo contro l'Iran, ma anche di aver volontariamente lasciato aperte, nei suoi prodotti, delle porte (backdoor) accessibili allo spionaggio e al controllo delle persone. Stati Uniti, Australia e Giappone hanno già congelato le attività dell'azienda sul loro territorio, il Regno Unito lo farà fra poco. Germania, India e Brasile hanno già espresso parere favorevole. Sembra che tecnicamente la faccenda delle backdoor sia una bufala: molto patriotticamente tutti spiano tutti e quindi lo fa anche la Cina, che ha un'antica tradizione di pirateria nel campo dei brevetti, del software e delle metodologie. Ma Huawei nega; e qualcuno, invocando la libertà di commercio, incomincia a temere sanzioni selettive sul mercato mondiale. In realtà gli errori involontari in campo telematico sono così diffusi che se anche un produttore "sbagliasse" di proposito non aggiungerebbe granché al panorama della guerra informatica (bisognerebbe travestire l'errore volontario da errore involontario, ecc.). Ma non è una questione di libertà commerciale: il mondo delle reti è pervaso dal lavoro non più legato alla legge del valore e migliaia di smanettoni producono sia programmi-spia che antidoti gratuiti. Programmi che le aziende usano, ovviamente. La cosiddetta privacy fa fremere i visceri solo a sprovveduti moralisti, mentre la guerra sul fronte del cyberspazio incomincia a diffondersi con estrema virulenza.

2001: Guerra senza limiti
2011: Marasma sociale e guerra

Un orribile abbaglio

Titola in copertina The Economist. Fino a una dozzina di anni fa la rivista auspicava l'estensione della proprietà immobiliare per le famiglie. Il classico mattone in proprietà era un toccasana per la crescita dell'economia: attirava capitali nei periodi in cui essi avevano difficoltà a valorizzarsi altrove, liberava dall'affitto redditi che potevano essere spesi in beni di consumo, stimolava l'economia mettendo in moto la filiera dei prodotti per l'edilizia e per la casa. Negli anni '90 del secolo scorso il 30% dei giovani americani intorno ai trent'anni abitava in case di proprietà. Le case che salvarono il mondo, scrisse il periodico del capitale che conta. Qualcosa dev'essere andato storto: oggi solo il 4% degli americani in quella fascia di età possiede la casa in cui abita. In trent'anni la scomparsa delle fasce medie di reddito ha provocato la necessità di vendere, ma, non essendoci compratori solvibili (vedi mutui subprime), le case sono rimaste vuote, spesso demolite. Addio alla sicurezza del mattone. Oggi The Economist dice che è inutile cercare di stimolare il mercato immobiliare pensando che serva a un rilancio dell'economia: ci sono troppe case ed è meglio che siano gestite da grandi immobiliaristi, così si evita sia la polverizzazione di capitali paralizzati, sia il proliferare dell'egoismo di cortile (NIMBY, Not In My Backyard, non nel mio cortile) nemico dei grandi investimenti.

2002: "Le case che salvarono il mondo"
2002: La dimora dell'uomo

Criptomovimenti

C'è fermento nel mondo della finanza legato ai traffici internazionali: sta avanzando una sperimentazione monetaria stimolata sia dalle difficoltà di valorizzazione, sia dalla crescita del mercato sommerso, sia dall'attivismo, specie americano, sul fronte delle sanzioni contro gli "Stati canaglia". Nuove possibilità per le casse di compensazione, strumenti valutari compositi, criptovalute. Russia e Cina hanno deciso di potenziare, con valuta propria, gli accordi bilaterali effettuati, e di coinvolgere anche altri paesi. Iran, Malesia, Turchia e Qatar hanno accordi per studiare e utilizzare i nuovi strumenti. La Russia, comunicando che avrebbe creato organismi appositi per commerciare con i paesi sotto sanzione (in buona parte armi), ha rivelato quanto sia deleterio, per il commercio mondiale, ogni impedimento prodotto dalle sanzioni. Sanzioni che andrebbero anche contro gli stessi interessi americani perché produrrebbero un automatico allontanamento dal dollaro: la Russia ha infatti diminuito le riserve valutarie in dollari dal 40 al 24% e molti paesi stanno facendo altrettanto. Putin si è quasi scusato: "Non siamo noi che abbandoniamo il dollaro, è il dollaro che abbandona noi". Da quando la Russia ha annesso la Crimea. Ma, si chiede il governatore della Banca d'Inghilterra, un'America senza il dollaro nelle riserve del mondo, che paese imperialista è?

2009: Accumulazione e serie storica
2018: Dimenticare Babilonia

L'informazione virale

Ha scritto Mark Buchanan su Nexus, un libro sulle reti: "La matematica [dell'epidemia] è semplicissima. Se il numero di infezioni secondarie è maggiore di uno, il numero di persone contagiate aumenta e scoppia l'epidemia. Se è inferiore a uno, l'epidemia si estingue." C'è una soglia che non bisogna assolutamente superare se non si vuole che una banale influenza diventi un disastro immane. E' vero che il numero di morti dovuti al coronavirus è estremamente basso rispetto a quello dovuto per esempio a incidenti sul lavoro o malattie non infettive, ma la differenza sostanziale è che essi non si autopropagano. I grafici pubblicati dall'OMS sono ad andamento esponenziale: vuol dire che la trasmissione è più di 1:1, vuol dire che si sarebbe dovuto prendere delle misure che non sono state prese. Perché il capitalismo non può isolare mezzi continenti con le loro fabbriche e i loro mercati. A meno che non sia costretto; ma allora il tempo perduto potrebbe essergli fatale.

2005: Principii di organizzazione
2015: Informazione e potere

Verso l'ignoto

La Gran Bretagna è finalmente partita per una rotta separata da quella europea. Il premier attuale sostiene che la tradizione inglese è liberista, mentre quella europea è dirigista, l'alleato naturale con cui elaborare sinergie è perciò l'America. Gli argomenti pro e contro la Brexit non si sono mai elevati al di sopra di questo livello: vantaggi o svantaggi su temi immediati. Nessuno ha mai posto la questione dal punto di vista storico, cioè in relazione alla natura del capitalismo d'oggi. Il liberismo nella realtà non è mai esistito e la Gran Bretagna l'ha praticato meno di altri paesi imperialisti. Affacciarsi sul mercato internazionale di oggi con un'economia all'80% orientata ai servizi dopo aver assecondato una de-industrializzazione feroce e un ricorso alla rendita petrolifera in aggiunta a quella finanziaria, significa davvero andare a cercarsi dei guai.

2019: Il grande collasso
2019: Brexit

L'impossibile

Gli uomini incominciano a parlare di un problema quando la sua soluzione è ormai nell'aria, diceva Marx. La Gran Bretagna è appena uscita dall'Unione Europea che già si parla di secessione della Scozia, che invece come regione autonoma voleva rimanere dov'era. Quasi per simmetria, ad una rottura avvenuta e una ventilata, si accompagnerebbe una unione, quella dell'Irlanda, per adesso nel campo delle ipotesi. Ipotesi? Sull'ultimo numero di The Economist la copertina è dedicata all'Irlanda Unita e nell'interno un articolo di punta recita: Potrebbe davvero succedere? E si chiude con questa frase: "L'Isola d'Irlanda ha bisogno di un piano". Seguono alcuni consigli.

2012: Lo Stato nell'era della globalizzazione

Il Barolo ha perso l'aereo

Gli Stati Uniti hanno protestato per le sovvenzioni statali europee all'Airbus e hanno attuato pesanti ritorsioni protezionistiche, come un rialzo della tassa sui vini europei che passa dal 25 al 100%. Gli importatori si sono riuniti per dare una risposta unitaria: con una tassa del genere non resta loro che chiudere. I viticoltori americani applaudono: i vini europei valgono un fastidioso 25% del mercato e l'aumento del dazio ha già mostrato i suoi effetti nelle feste natalizie, con un calo delle vendite del 10-20%. E questo nonostante che importatori ed esportatori avessero deciso di limitare il profitto per non perdere i clienti. Una paradossale piccola guerra per procura, aerei contro bottiglie: le due più grandi realtà stataliste del mondo combattono l'una contro l'altra in difesa del libero mercato adoperando il protezionismo come arma.

1951-1952: Bussole impazzite
2016: Donald Trump e l'isolazionismo americano

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