10. Che cosa cercava Bordiga?

"Il modello standard è una teoria che sembra in grado di spiegare tutti i fenomeni che si possono produrre negli acceleratori di particelle di cui disponiamo oggi. Eppure, nonostante tutto, non siamo soddisfatti. Il primo motivo di insoddisfazione è il numero relativamente elevato dei parametri liberi: nel modello standard ve ne sono almeno diciassette da scegliere in maniera arbitraria per garantire l'accordo fra teoria e dati sperimentali. La seconda ragione ha a che fare con la gravità. Per evitare che delle grandezze fisiche possano assumere valori infiniti al di fuori di ogni controllo, è necessario che certe costanti siano adimensionali. Ecco il punto: la costante di Newton non è adimensionale, per cui ci si deve aspettare che ogni teoria in cui essa entri in gioco dia luogo a quantità di tipo infinito. Molti di noi hanno tentato di costruire una teoria della gravitazione esente da tali incongruenze; penso che dobbiamo riconoscere di aver fallito". (135)

Un marxista non può permettersi di scegliere tra varie teorie quella che più gli aggrada. A meno che non sia in grado di provare che tale teoria è quella corretta, sperimentabile, riconoscibile universalmente. Dopo di che la assume come uno degli elementi che fanno parte del generale patrimonio accumulato dalle rivoluzioni umane. Bordiga non avrebbe potuto "scegliere" una teoria e dimostrare che era quella buona, dato che non sarebbe riuscito a fare ciò neppure tutto il mondo scientifico esistente. Avrebbe ovviamente potuto starsene zitto, ma non si conduce nessuna battaglia accettando passivamente, o peggio, bevendo attivamente le sparate della propaganda borghese. Le sue ironie sulle "balle spaziali" potrebbero anche risultare alla fine non tutte giustificate, ma rifiutando di "scegliere" fra le teorie disponibili e chiedendo la prova sperimentale degli effetti microgravitazionali sull'organismo biologico egli sollevò un problema in termini che potremmo dire arditi, non astrusi. Il problema era certamente in contrasto con i risultati universalmente riconosciuti, ma era sullo stesso piano di altri posti da scienziati ultrafamosi (136). Il fatto che la maggior parte degli esperimenti sui veicoli spaziali riguardi ancora la reazione degli organismi viventi alla lunga permanenza in condizioni di non-accelerazione (come potrebbe essere un viaggio verso Marte) dimostra che permangono gravi incertezze in questo campo. Di fatto la prova sperimentale rispetto agli effetti sull'uomo, sulle sue cellule ed atomi, quando il suo corpo sia immerso o meno in un campo gravitazionale, inteso come curvatura dello spazio dovuta a presenza di materia e non all'effetto di forze interagenti, ancora manca. A parte la propaganda, gli unici dati provengono dagli esperimenti di lunga durata condotti sulle varie navicelle in orbita terrestre che, come disse Asimov, sono distanti dalla Terra quanto la meta di una scampagnata durante un week-end americano medio.

In campo scientifico le polemiche sono utili anche quando si ponga un problema, come fanno i matematici, "supponendo per assurdo". Gli articoli di Bordiga e le critiche sollevate stimolano l'approfondimento e per un militante può essere interessante constatare che, oltre a non esserci certezze sulla realtà fisica, oltre ad esservi dubbi persino sul nome della teoria della relatività, possiamo avere dubbi anche sul nome del principio di equivalenza, quello invocato per criticare l'ipotesi di Bordiga (non dai critici da dozzina, che erano a distanza abissale dall'oggetto criticato, ma in una seria discussione di partito).

Per coerenza scientifica il nome dovrebbe rappresentare razionalmente la cosa. A questo punto la materia in discussione diventa assai interessante, perché con qualche esempio si capisce subito che sarebbe meglio parlare di analogia, lasciando perdere il principio di equivalenza, dal quale si dovrebbe pretendere una totale generalizzazione teorica. Un campo gravitazionale dovuto a presenza di materia diventa zero a distanza infinita, mentre in un equivalente sistema accelerato ciò non accade: l'effetto di inerzia rimane costante, e diventa infinita la velocità, cosa che è ovviamente esclusa dalla teoria di Einstein, per la quale non si può superare la velocità della luce. Per di più l'effetto gravitazionale dovuto all'accelerazione che caratterizza un sistema non inerziale cessa semplicemente interrompendo la forza che produce l'accelerazione, mentre il campo gravitazionale dovuto a materia nello spazio non si può eliminare senza eliminare la materia stessa (o, in un punto, lasciando in caduta accelerata il corpo verso la massa che lo attrae). Solo con una convenzione si può trattare localmente il campo gravitazionale "vero" come uniforme, immaginando per comodità di calcolo che nella regione di spazio osservata la curvatura sia data da punti infinitamente vicini. Invece in un sistema accelerato, lontano da ogni massa, tutti i punti, anche distantissimi tra di loro, sono trattabili analiticamente allo stesso modo (137).

In ultima analisi, secondo il principio di equivalenza esiste un punto dello spazio-tempo in cui un evento qualsiasi avviene secondo le leggi della relatività ristretta, cioè senza tener conto della gravità dovuta ad una massa materiale. Abbiamo visto però che se si indaga nell'intorno allargato del punto soggetto a gravitazione ci troviamo invece di fronte ad altri punti in cui accenni di gravità esistono; perciò è impossibile, dal punto di vista teorico, estendere il principio di equivalenza a tutto lo spazio-tempo. In una capsula spaziale in orbita vediamo realizzato questo modello teorico: il materiale con cui è costruita la capsula e tutti gli oggetti contenuti sono soggetti alla stessa accelerazione di gravità in quanto ogni accelerazione relativa è scomparsa. Il principio di equivalenza permette in un punto (localmente) di applicare la teoria della relatività, ma non ci dà nessuna possibilità di collegare la fisica valevole in quel punto con quella valevole negli "intorni" contigui, peggio che mai in un'altra navicella collocata a qualche distanza (138). Siccome Einstein ci dice che lo spazio-tempo è curvo in relazione alla presenza di materia-energia e che questa curvatura è la causa della gravità e della "frammentazione" in punti singolari, ne concludiamo che la differenza fra un sistema non inerziale e un campo gravitazionale reale è oggettiva. Ciò anche se l'osservazione e la misura sperimentale non rilevano la differenza e se questa non è intuitiva.

All'interno delle navicelle orbitanti, specie se abbastanza grandi, gli "accenni di gravità" relativa al di fuori dei punti singolari esistono realmente, quindi è vero che veicoli e astronauti si trovano sotto l'effetto della gravità pur essendo in stato di imponderabilità (139). Di conseguenza non è vero che, in base al principio di equivalenza, per un astronauta chiuso in una navicella non c'è possibilità teorica di sapere se sta cadendo verso una massa o se sta invece viaggiando nello spazio a velocità costante. Se nella navicella in questione ponessimo una sfera perfetta, essa, come tutti gli astri, tenderebbe a disporre le sue particelle secondo la curvatura dello spazio-tempo, quindi risulterebbe deformata nel caso in cui si muovesse nella forza gravitazionale mentre ciò non succederebbe nel caso in cui si muovesse con moto rettilineo costante lontano da ogni massa. In presenza di masse molto grandi, come per esempio quelle dei "buchi neri", anche piccoli oggetti gravitanti oltre un certo limite, come le astronavi con il loro equipaggio, verrebbero addirittura stritolati.

Quanto abbiamo cercato di riassumere fin qui è ben conosciuto in campo astronomico ed ha effetti sugli astri reciprocamente sottoposti alle sollecitazioni gravitazionali. Tutti gli oggetti orbitanti subiscono un effetto chiamato di "marea", tanto più intenso quanto più l'orbita dell'oggetto gravitante si svolge vicino alla massa del grave (e ovviamente quanto più essa è grande). Secondo alcuni, gli anelli di Saturno si sono formati in seguito alla distruzione di un satellite che si era avvicinato troppo alla massa planetaria: in questo caso l'effetto marea sarebbe stato più forte delle forze gravitazionali proprie che lo tenevano aggregato, con conseguente dispersione della materia che lo costituiva (140).

Si tratterebbe quindi solo di sapere se le differenze oggettive cui abbiamo accennato siano sperimentalmente rilevabili e se la mancanza degli effetti gravitazionali, come nel caso di un astronauta in viaggio inerziale nello spazio lontano, possa provocare danni al suo organismo. Se si accetta il fatto che è concettualmente vera l'esistenza di differenti condizioni nei due casi presi in esame, non dovrebbe essere difficile accettare anche la possibilità di effetti differenti su quel complesso biomolecolare che è il corpo umano. Un fisico teorico sarebbe in grado di misurare gli effetti della soppressione di un solo elettrone ai confini dell'universo su altri elettroni in un pezzetto di materia nel suo laboratorio. Non dovrebbe dunque sembrare per niente incredibile che possa succedere "qualcosa" nel corpo di un astronauta quando le sue particelle costitutive siano private anche di ogni residuo gravitazionale (141).

Dal punto di vista macroscopico, i fattori che riguardano la fisiologia dell'astronauta, come imponderabilità, equilibrio, ginnastica, chimismo, ecc. sono di gran lunga le più importanti per la salute immediata degli astronauti. Ma che cosa succede al numero immenso di particelle che compongono ogni singola cellula e al numero immenso di cellule che compongono l'intero organismo, non si sa; si sa soltanto, empiricamente, che l'organismo ha alte capacità di reazione alle anomalie gravitazionali e, aiutato con vari espedienti, può sopravvivere a lungo.

E' noto però che negli esperimenti chimici, fisici e biologici condotti in microgravità, uno dei maggiori problemi è quello di annullare con apposite apparecchiature ogni tipo di vibrazione provocata nella navicella sia dai movimenti degli astronauti che dalle apparecchiature di bordo. Questo perché i processi interessanti da studiare dovrebbero avvenire a gravità zero, soprattutto nel caso della formazione di cristalli e di proteine artificiali. Ora, la vibrazione è un moto "armonico" e può essere descritta in termini di trasformazione periodica da energia cinetica a energia potenziale e viceversa. Il suo effetto sulla massa dipende dalla frequenza e dall'ampiezza, che è come dire accelerazione o, come abbiamo visto, gravità. Perciò le conseguenze delle vibrazioni possono essere peggiori della gravità vera e propria, quando si tendono a fare prove speciali nello spazio per evitarla. Allora è vero che in determinati esperimenti, riguardanti il comportamento delle molecole, la presenza o l'assenza di piccolissimi residui di gravità influisce notevolmente sul loro esito.

D'altronde sappiamo che le interazioni fra particelle microscopiche danno luogo a fenomeni macroscopici in esperimenti molto semplici, come quello delle "celle di Bénard": in una sottile pellicola di liquido riscaldata nella parte inferiore, il movimento di convezione caotico di miliardi e miliardi di particelle origina un disegno a reticolo di celle esagonali con lato di alcuni millimetri. Il moto caotico, provocato dal calore, traduce in una configurazione spaziale geometrica le interazioni locali delle singole particelle di liquido sottoposto alla gravitazione. Per quanto quest'ultima sia trascurabile nel comportamento delle molecole in generale, in questo caso la sua mancanza comprometterebbe la comparsa delle celle (142). Se processi elementari come quello descritto sono così delicati, è certo che il comportamento di tutte le particelle di un organismo non lo è meno, e la differenza tra una navicella intorno alla massa terrestre e un'altra in viaggio nello spazio come sistema inerziale puro sarà reale, per quanto infinitesimale e non immediatamente avvertibile dall'astronauta, indaffarato nei suoi compiti e con tutte le cellule del suo organismo impegnate nella risposta al ben più avvertibile fenomeno dell'imponderabilità pura e semplice.

L'effetto relativistico su di un organismo vivente può dunque essere ritenuto trascurabile quando l'approccio sia il punto di vista del mondo macroscopico; ma se l'ipotetica soppressione di un elettrone ai confini dell'universo provoca effetti misurabili qui da noi, come reagiscono alle impercettibili differenze gravitazionali le particelle atomiche che compongono le cellule viventi, il codice genetico, i delicatissimi meccanismi chimici del metabolismo? Nella chimica delle cellule sono state osservate reazioni che avvengono a pochi femtosecondi, ovvero a pochi milionesimi di miliardesimi di secondo, e nessuno sa se la massa di miliardi di miliardi di cellule che compongono un organismo vivente è sensibile o meno alle differenti condizioni ipotizzate da Bordiga.

La biologia molecolare ci mostra che le interazioni chimiche nell'organismo avvengono durante le collisioni fra le molecole e che la frequenza di queste è proporzionale al numero delle molecole stesse. La strutturazione delle cellule e degli organi avviene attraverso queste interazioni, e nessun processo di formazione (morfogenesi) macroscopica dovuto a interazioni chimiche è possibile senza che vi siano degli stadi in cui il prodotto della reazione in corso non modifichi l'andamento della reazione stessa. Questa componente "non-lineare" della materia vivente è di per sé gravida di conseguenze nel caso vengano introdotte variabili anche impercettibili nell'equilibrio organico (143). Questa potrebbe essere l'origine di tanto segreto nelle ricerche biologiche in condizioni di microgravità e questa potrebbe anche essere la via per spiegare l'ipotesi di Bordiga, se spiegazione c'è.

Non siamo ancora riusciti a scoprire il meccanismo che permette agli uccelli di orientarsi durante le lunghe migrazioni; qualcuno ipotizza apparati organici in grado di "sentire" il campo magnetico terrestre. Allo stesso modo potremmo ipotizzare che l'organismo è in grado di avvertire il campo gravitazionale. In fondo si sa quanto esso influisce sulla deformazione dell'ipotetica sfera galleggiante nella navicella spaziale e soggetta all'effetto relativistico di marea da noi precedentemente portato ad esempio. E l'astronauta della navicella, misurando la deformazione con un precisissimo strumento, potrebbe anche sapere in che direzione si trova il pianeta intorno a cui ruota. In caso di sistema inerziale lontano da massa planetaria, la sfera rimarrebbe invece perfettamente regolare. Che cosa succederebbe alle cellule di cui è composto l'astronauta? Potrebbe l'intero insieme di cellule e atomi con tutte le loro interazioni avvertire - non certo in modo cosciente - la differenza, cioè la deformazione dello spazio-tempo?

L'interrogativo è d'obbligo: sappiamo che cosa succede localmente alla materia, sappiamo cosa succede alle reazioni chimiche elementari in assenza di peso, sappiamo calcolare l'effetto relativistico su di una massa sferica di materia, sappiamo persino calcolare la curvatura dello spazio (144); ma non sappiamo che cosa succede alla materia vivente organizzata, in grado di riorganizzarsi in continuazione. Riorganizzandosi, essa assume, elabora e distribuisce informazione, perciò, forse, è anche in grado di contrastare eventuali microeffetti dovuti a differenze così piccole che non sono neppure intuibili. Ma allora forse è vero anche il contrario, la materia vivente potrebbe non sapere affrontare la mancanza di gravità quasi assoluta esistente lontano dalla massa planetaria su cui si è formata.

Il pensiero si perde non appena ci si affaccia sui moderni terreni di frontiera dove alcune certezze vengono messe in dubbio, e occorre fermarsi. Una teoria monistica completa del continuo non esiste, e le teorie del discreto che potrebbero dirci qualcosa sulle particelle non danno risposte esaurienti sulla gravità. Del resto, se le cose fossero esattamente come appaiono, non esisterebbe la scienza, in quanto inutile, affermava Marx; così come affermava che, se i prezzi fossero la stessa cosa del valore, non ci sarebbe bisogno della critica all'economia politica. Le cose non sono mai come appaiono ai nostri sensi e neppure al nostro pensiero, per questo la fisica attuale naviga in difficoltà nei dominii estremi dell'infinitamente piccolo e dell'infinitamente grande, dove le sensazioni e i pensieri che stanno alla base dell'intuito sono bandite.

Ogni fisico è pronto a giurare sulle quattro interazioni considerate fondamentali e a considerarle in grado di spiegare in linea di principio tutti i fenomeni naturali conosciuti, e giura quindi sulla trascurabilità della gravitazione rispetto alle altre forze. Ha ragione, perché mettere in discussione le conoscenze attuali sulle quattro interazioni fondamentali e sulla natura della massa è come chiedersi se per caso non esistano altre forze sconosciute in grado di far saltare tutte le nostre certezze (145). Se infatti supponessimo possibile l'esistenza di un'altra forza, moltissimi fenomeni risulterebbero osservabili soltanto quando la nuova conoscenza ce lo permettesse e le precedenti conoscenze verrebbero d'un colpo superate. La stessa cosa succederebbe se si scoprisse che le interazioni sono meno di quattro. Ecco allora che il dubbio avanzante nelle conoscenze che appaiono consolidate ci fa capire che esse sono ben provvisorie e, se non sono superabili con semplici ipotesi, occorre tuttavia andar molto cauti nel giurare su di esse.

Che cosa sono infatti queste interazioni? Leggiamo in un qualsiasi libro di fisica che la sorgente dell'interazione elettromagnetica è la carica e che la particella di scambio, quella che nelle nuove teorie ha sostituito il vecchio etere, è il fotone. Descrivere la carica e il fotone è già un'impresa. Ma quando ci spostiamo alle altre interazioni la faccenda si complica ancor di più. L'interazione forte ha come sorgente i quark, e la particella di scambio, il gluone, è ancora ipotetica. L'interazione debole ha come fonte la carica debole e come particella di scambio il bosone intermedio, anch'esso ancora ipotetico. Infine l'interazione gravitazionale ha come fonte la massa/energia e come particella di scambio la più ipotetica di tutte le particelle, il gravitone. Non si preoccupi il lettore di questa scorribanda fra terminologie inusuali, e registri soltanto un elemento comune a tutte le interazioni: la fonte. Nel principio di equivalenza, quando la gravitazione sia dovuta a moto non continuo (accelerato o decelerato), dov'è la fonte? Nel caso della massa lo si capisce bene, ma nel caso di un corpo accelerato, esclusa la sua stessa massa, qual è la fonte della forza che spinge l'osservatore contro la parete come fosse attratto dalla gravità? Non c'è risposta, a meno di non accettare in toto quella di Mach da cui Einstein era partito: la sorgente di tutte le forze "inerziali" è l'insieme delle masse di tutti gli oggetti dell'universo (146). Come si vede c'è spazio sufficiente per porsi delle domande e per formulare ipotesi chiedendo conferme.

Negli anni '80 si fecero molti esperimenti e nacquero nuovi filoni teorici intorno al tentativo di spiegare la gravitazione con la meccanica quantistica, e i risultati non sono a tutt'oggi definitivi. Le serie incompatibilità fra la meccanica quantistica e il principio di equivalenza su cui si basa la teoria classica della gravitazione fino ad Einstein non sono state risolte. Nelle teorie del continuo la posizione e la velocità iniziali determinano il percorso predicibile di un corpo che cada in un campo gravitazionale, mentre nella meccanica quantistica tale percorso sarebbe indeterminato e probabilistico. In questo caso il principio di equivalenza non potrebbe essere neppure preso in considerazione.

Tutto quello che abbiamo detto fin qui ha naturalmente effetto anche sulle diverse cosmologie, e sarà forse utile fare una considerazione a questo proposito perché il tema è pertinente con quello che stiamo trattando. L'indagine intorno al problema sollevato da Bordiga ci ha già condotto lungo i rami di recentissime ipotesi che attendono conferma o smentita; ora ci porta ad esaminare più da vicino l'enorme contraddizione, già sfiorata precedentemente dalle nostre considerazioni, tra il mondo macroscopico e quello microscopico. Questa situazione paradossale ci dà l'idea di quanto sia necessario superare questa società per andare avanti. Mentre sul mondo microscopico la quasi totalità dell'informazione empirica ci proviene da un unico tipo di esperimento, che è quello di bombardare delle particelle diverse per vedere cosa succede (o piuttosto per vedere se succede quello che prevediamo), nel mondo cosmico la totalità dell'informazione ci deriva dall'attesa che emissioni di qualche tipo giungano fino a noi da distanze indicibili. La fisica moderna sembra schiacciata, intrappolata fra questi due poli. Da una parte un'attività "volontaristica" che consiste nel progettare e usare macchine sempre più grandi con potenza sempre maggiore in grado di sparare particelle su altre particelle e "crearne" a centinaia; dall'altra un atteggiamento "attendista" rispetto ai segnali che provengono dall'universo. Ovviamente ciò non va preso alla lettera, ma è significativo che tra i due estremi, nel mezzo, vi sia tutto un campo che, se non proprio trascurato, è perlomeno estraneo alle grandi carriere e alle occhiute ricerche dei comitati per l'assegnazione dei premi Nobel: il mondo normale (147).

Questo mondo, quello per intenderci che sta intorno all'uomo e di cui esso fa parte, è stranamente lasciato a chi si occupa di cose pratiche per la vita quotidiana e per la produzione, oppure a chi lo interpreta secondo i sensi dell'uomo stesso finendo per assumere una concezione solipsista della natura (148). Questa concezione, incentrata interamente sulle idee che l'uomo si fa della natura attraverso un processo di giudizio formatosi in migliaia di millenni di esperienza diretta, non vale per la cosmologia e per il mondo microscopico, ma a maggior ragione non deve valere neppure per il mondo "a misura d'uomo", com'è ormai dimostrato. Penetrare nella realtà dell'ambiente macroscopico che ci circonda non è meno difficile che scoprire i segreti dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo. Pensiamo ai processi biologici di cui abbiamo parlato, a quelli sociali o anche solo agli equilibri precari che si creano in un ambiente "fluido" qualunque, nelle tanto discusse "strutture dissipative".

Bordiga, pur non essendo in grado di formulare esattamente ciò che "sente ad orecchio", chiede che gli si dica qualcosa di preciso e sperimentato su cosa succede all'oggetto macroscopico uomo quando sia spedito nello spazio come sistema inerziale lontano dalle masse gravitazionali. Crediamo che la risposta empirica arriverà molto tardi, almeno quando sarà effettuato il viaggio umano su Marte, mentre la risposta in base alle leggi della fisica tarderà forse ancora di più, perché vi sono dei limiti che riguardano anche il cambiamento sociale. Einstein, nel suo bilancio di una vita di lavoro (149), osserva come sia difficile penetrare nella realtà e racconta i passaggi dalla sua prima esposizione della teoria della relatività a quella generale. Nel far questo delinea il suo programma ed espone le difficoltà cui è andato incontro nel tentativo di formulare una teoria universale del campo. Egli dà nettamente l'impressione di sapere che non vi sono semplicemente delle difficoltà ma dei limiti epistemologici. Era convinto che ogni fenomeno fosse spiegabile nell'ambito del continuo e che non potesse esservi soluzione di continuità fra i componenti della materia e l'universo passando attraverso il mondo macroscopico intermedio. Era cioè convinto dell'unitarietà di tutte le leggi che si possono scoprire e soprattutto che esse dessero luogo a formalizzazioni semplici e conclusive. Non credeva nelle semplificazioni introdotte dalla concezione binaria della natura, nella sua discretizzazione (particella sì-no) e nel formalismo probabilistico. O almeno accoglieva tutto ciò come pedaggio provvisorio da pagare sulla strada della conoscenza delle vere leggi della natura. Dopo aver affermato che a suo avviso la meccanica quantistica "non offre nessun punto di partenza utile per uno sviluppo futuro" (e senza sviluppo non è possibile ciò che è previsto dal principio di corrispondenza, cioè il superamento di una teoria tramite il suo inglobamento in quella nuova), aggiunge e ribadisce:

"La questione veramente determinante mi sembra questa: quale tentativo è possibile fare con qualche speranza di successo, data l'attuale situazione della teoria fisica? A questo punto le mie aspettative sono guidate da esperienze connesse con la teoria della gravitazione. Più di tutte le altre equazioni della fisica, secondo il mio modo di vedere, sono le equazioni di questa teoria che danno una certa garanzia di riuscire ad affermare qualcosa di preciso [...] Le vere leggi non possono essere lineari, né possono essere derivate da leggi lineari. E c'è qualcos'altro che ho imparato dalla teoria della gravitazione: nessun insieme di fatti empirici, per quanto ricco, può mai portare all'impostazione di equazioni così complicate. Una teoria può essere verificata dall'esperienza, ma non esiste alcun modo per risalire dall'esperienza alla costruzione di una teoria". (150)

La sottolineatura è nel testo originale. Einstein insistette tutta la vita, fino ad isolarsi di fronte alla trionfante meccanica quantistica, nel difendere la prospettiva della ricerca nel mondo del continuo e nel rifiutare le nuove dicotomie, che univano sì il microcosmo all'universo, ma che dimenticavano tutto quello che sta in mezzo, a cominciare dall'umanità nel suo divenire. Rovesciamo il suo umanesimo moralista in critica della prassi secondo cui la produzione e riproduzione degli uomini non sarebbe fisica ma sociologia e avremo un metodo d'indagine materialista dialettico. Affrontando il problema generale della conoscenza egli sosteneva che col metodo induttivo non giungeremo ai nuovi risultati, mentre con una forte capacità di astrazione del reale (non dal reale!) riusciremo a formulare nuove teorie. Einstein era convinto, come Marx, che l'astrazione facesse parte della realtà, anzi, che la svelasse meglio in quanto realtà. Dimostrava con ciò di maneggiare induzione e deduzione come implicate l'una nell'altra esattamente come avrebbe fatto un marxista. Notiamo di passaggio che egli era saldo sulla posizione che abbiamo già citato: "non esiste e non può esistere il metodo sperimentale". Su questa base tratteggia il suo programma futuro (purtroppo non possiamo togliere dalla frase i termini tecnici senza stravolgerla, ma il lettore li salti senza perdere di vista il concetto generale):

"Una volta in possesso di condizioni formali abbastanza forti, non c'è bisogno di una grande conoscenza dei fatti per costruire una teoria; nel caso delle equazioni della gravitazione, sono appunto la tetradimensionalità e il tensore simmetrico, quale espressione della struttura spaziale che, insieme con l'invarianza rispetto ai gruppi di trasformazioni continue, determinano quasi completamente le equazioni. Il nostro problema è quello di trovare le equazioni di campo per il campo totale. La struttura desiderata dev'essere una generalizzazione del tensore simmetrico. Il gruppo non deve essere più ristretto di quello delle trasformazioni continue di coordinate. Se si adottasse una struttura più complessa, il gruppo non determinerebbe più le equazioni così fortemente come nel caso in cui la struttura è espressa dal tensore simmetrico. Perciò la cosa più bella sarebbe di poter riuscire ad allargare ulteriormente il gruppo con un procedimento analogo a quello che ha condotto dalla relatività particolare alla relatività generale. In particolare io ho cercato di avvicinarmi al gruppo delle trasformazioni complesse di coordinate". (151)

Questo programma non trovò praticamente eredi "ortodossi" nel mondo scientifico ufficiale. Forse perché i risultati cui Einstein era giunto erano davvero il limite intrinseco della teoria. I pochi che affrontarono seriamente il problema si accorsero che la teoria della relatività può avere delle alternative in molte altre teorie gravitazionali più o meno compatibili con i dati sperimentali che verificarono quella originale. Nacquero così teorie che tendevano a dimostrare l'esistenza della curvatura dello spazio anche in mancanza di masse, oppure altre che esasperavano il principio secondo cui tutte le masse si influenzano fino a far dipendere anche l'inerzia dall'esistenza di masse lontane (principio di Mach). Per quanto la varietà delle teorie sviluppate finora sia impressionante, esse possono essere riportate a due grandi gruppi: i tentativi di trovare una nuova teoria della gravitazione e i tentativi per unificare il campo elettromagnetico con quello gravitazionale. Mentre con la prima strada sembra si stiano costruendo tante teorie gravitazionali quante sono le ipotesi di partenza, con la seconda sembra sia possibile generalizzare i risultati di Einstein, ma a prezzo di una sintesi non univoca tra campo elettromagnetico e gravitazione. In entrambi i casi non si hanno soluzioni soddisfacenti e alcuni fisici si stanno convincendo che Einstein avesse ragione quando aveva preannunciato un tragico fallimento epistemologico al di fuori del "suo" programma.

In margine a queste tendenze, vi sono dei fisici che, sulla base di modelli già disponibili da molto tempo, cercano di percorrere fino in fondo la strada imboccata da Einstein, cioè cercano di allargare i gruppi di trasformazioni continue come egli fece quando passò dalla relatività ristretta a quella generale. All'epoca in cui scriveva Bordiga vi erano matematici e fisici italiani che lavoravano sul lascito di Einstein cercando di estendere il concetto di "gruppo" e di "simmetria". Uno dei punti di partenza era il modello cosmologico di De Sitter-Castelnuovo, che non era una novità negli anni '50, ma sembrava promettere importanti sviluppi.

Siamo andati a frugare nelle riviste dell'epoca e nei ricordi di vecchi compagni e abbiamo trovato le tracce di conoscenze che Bordiga poteva aver assimilato in quegli anni e che trapelano negli articoli. Guido Castelnuovo era uno dei fondatori della scuola di geometria algebrica, ben conosciuta da Bordiga (152), e alcuni allievi di tale scuola ne avevano continuato il lavoro in diverse università italiane. A Napoli si raccolse un buon nucleo di matematici e Bordiga conosceva uno di essi, Renato Caccioppoli (153), che fu anche l'unico a rimanere nella città quando tutti gli altri si spostarono a Roma alla fine degli anni '30. Caccioppoli aveva la cattedra di Teoria dei Gruppi e diede importanti contributi, riconosciuti internazionalmente, alla teoria geometrica della misura e all'analisi funzionale non lineare. A Roma, dalla stessa scuola, scaturì dopo la guerra una nuova cosmologia, basata appunto sulla teoria dei gruppi e sfociata in una concezione unitaria del mondo fisico e biologico, descritta per la prima volta, nel 1942, dal matematico Luigi Fantappié, collaboratore di Vito Volterra e di Federigo Enriques, quest'ultimo tra i fondatori della scuola suddetta.

Dopo le interessanti ricerche degli anni '50, condotte su una concezione organico-dialettica e non meccanica del determinismo (154), alcuni esponenti non ortodossi di questa scuola finirono individualmente per sostenere concezioni bergsoniane e finaliste. Alcuni dei loro risultati sono ancor oggi utilizzati nella ricerca di una via d'uscita dalle difficoltà in cui s'è cacciata la fisica. In particolare, sono ripresi dalla corrente odierna che applica alla cosmologia anche la cibernetica, ma nella nostra ricerca ci è sembrato di capire che il promettente inizio in alcuni casi si è trasformato in un rigurgito di metafisica (155).

In conclusione, l'ipotesi di Bordiga, giusta o sbagliata che sia, potrebbe essere stata suggerita dai nuovi e promettenti modelli "gruppali" di universo che unificavano il mondo organico con quello fisico e che trattavano la realtà dell'organismo biologico non separatamente dalle determinazioni in cui si è formato in milioni di anni. Questo perché in alcuni di tali modelli il concetto di realtà è inteso concretamente e non come spiegazione dei fenomeni attraverso formalismi considerati corretti solo "perché funzionano".

Anche se l'ipotesi di una differenza tra il comportamento di un organismo in condizioni di imponderabilità (cioè in presenza di massa) e quello che si ha in un sistema inerziale lontano da ogni massa, rimane fuori dalle conoscenze attuali della scienza ortodossa, non per questo tale ipotesi è automaticamente invalidata. Essa ha dignità di esistenza quanto mille altre che dall'ortodossia si discostano. Oltretutto è presentata proprio come ipotesi e non come dato di fatto.

Ogni tanto càpita di leggere notizie che riguardano certi modelli, parto di "creatori" arroganti, veri proudhoniani della scienza, cui l'universo dovrebbe adeguarsi. Altre volte leggiamo che certi epistemologi contemporanei, nemici degli sperimentalisti e dei "realisti", sostengono il predominio della ricerca scientifica basata su presupposti teorici che siano costruiti di volta in volta, dagli scienziati stessi. Per questi filosofi le teorie scientifiche non sono altro che creazioni pure, così come le opere d'arte sono libere creazioni degli artisti: sarebbe la creazione scientifica a produrre i materiali di verifica, se ci riesce, e non viceversa. In questo modo la ricerca scientifica si presenta come un mondo completamente anarchico per il quale qualunque modello teorico è accettabile, perché il moltiplicarsi delle teorie rende dinamica la scienza e la fa progredire (156). Ma sono essi i più sinceri, perché riflettono meglio la scienza d'oggi, un'anarchia forse più diffusa di quella criticata nelle contorte elucubrazioni di un Popper e nella ricerca del paradigma perduto di un Kuhn.

In questo clima soggettivistico non c'è da stupirsi che nel linguaggio esplicativo dei libri di alcuni autori si dipinga ogni modello come se fosse una realtà effettiva; eccone un esempio:

"Nella dinamica reticolare lo spazio-tempo non è più una varietà continua ma un insieme discreto di celle spaziotemporali costruite con le unità di Plank. Utilizzando il formalismo degli automi cellulari, lo spazio-tempo somiglia ad un cubo di Rubik". (157)

Si tratta della didascalia di uno schema qualsiasi. Trascuriamo i soliti termini tecnici e anche il contenuto per soffermarci sul linguaggio: esso registra che l'autore crede effettivamente nella quantizzazione convenzionale dello spazio in tanti cubicoli come ad una realtà che supera l'antica varietà continua. E naturalmente coloro che descrivevano quest'ultima erano effettivamente convinti che la loro realtà fosse quella giusta e commentavano i loro disegni o modelli come se effettivamente si vedessero nella natura geodetiche, tensori e curvature dello spazio-tempo.

Fortunatamente la concezione della realtà non è fissa, cambia con le epoche, e noi dobbiamo tenerne conto, perché la scienza ha sempre il compito di regolare un rapporto fra una data concezione dell'universo e l'esperienza materiale degli uomini. Quindi nel tempo la conoscenza si affina, e si deve affinare anche la teoria della conoscenza che tratta specificamente del rapporto tra uomo e natura. Finché la fisica classica si occupava di eventi macroscopici, per quanto complessi, il tipo di epistemologia corrispondente poteva essere antropomorfico, cioè poteva contemplare tutta una varietà di strutture adeguate alla comprensione attraverso i sensi umani, formatisi insieme con l'uomo stesso sulla base del mondo circostante. In quest'ambito non era possibile porsi il problema degli osservabili come lo si pone oggi, dopo che la teoria della relatività e la meccanica quantistica hanno sconvolto le concezioni classiche.

La fisica moderna è figlia del capitalismo maturo. Come il capitalismo non ha risolto i problemi dell'umanità, ma ha preparato l'avvento di una società completamente nuova, così la fisica non ha risposto a tutti i problemi che essa stessa ha sollevato, ma ha preparato l'umanità ad uscire finalmente, una volta per tutte, dall'ambito delle percezioni soggettive e delle idee. Ha realizzato il sogno di Galileo, che voleva separare la conoscenza dai sensi e dall'arbitrio e dedicarla tutta quanta alla matematica e alla geometria. L'umanità, come dice Marx, non si pone che quei problemi la cui soluzione è già matura per la storia e anche questa volta ci si accorgerà che tale soluzione sarà semplice ed elegante, bastava eliminare gli scogli che si frapponevano alla conoscenza.

La drastica eliminazione del determinismo meccanico dalla conoscenza moderna ha provocato, dato l'idealismo ancora dominante, un'interpretazione distorta delle nuove teorie, per cui vi è stata una ripresa di concezioni che si supponevano superate una volta per tutte. L'indeterminismo si è trasferito dal campo della misura al campo della negazione del determinismo in senso filosofico, e la scuola dominante della fisica si è fatta portatrice di vecchie categorie che dovrebbero andare al macero, come l'idea che, al limite, il mondo esista solo in quanto indagato dalla mente. E persistono antiche incapacità di astrazione, dovute ad un linguaggio che è rimasto indietro rispetto ai risultati della scienza e che spiega ancora la natura attraverso il filtro di occhi umani. Molti esempi devono ancora essere fatti tramite immagini, come nel caso del cubo di Rubik di poc'anzi, o il telo di gomma di Eddington, usato per spiegare la gravità che curva lo spazio ecc. Persiste, come abbiamo visto, un'antica incapacità di indagine, come la difesa ad oltranza dei risultati raggiunti solo in quanto "funzionano", senza chiedersi il perché. Tutto ciò assomiglia un po' al trionfo di una specie di religione fondamentalista laica: estremamente pragmatista per quanto riguarda le conversioni e la prassi liturgica, ma terribilmente rigida per quanto riguarda la dottrina (o la non-dottrina) (158).

E' evidente che la contrapposizione fra le tendenze della fisica è solo di carattere epistemologico e che deriva da un non risolto nodo galileiano, cioè da una non risolta concezione del mondo, ancora troppo legata ai propri sensi e ai propri sentimenti. Da queste contrapposizioni non si può uscire senza una rivoluzione che cambi il modo di pensare degli uomini, che porti cioè ad una concezione della materia e dello spazio-tempo come un tutto unitario, trattabile come oggetto fisico comprendente energia, movimento, struttura materiale, più una particolare organizzazione della materia che si è messa ad un certo punto ad elaborare teorie autonominandosi "mente".

Alla fine vediamo che l'ipotesi di Bordiga, che a prima vista sembrava perlomeno strana, cade in un mondo di modelli fisici alquanto differenziati e antagonisti, passibili di grandi rivolgimenti; essa non ci appare allora alla stregua di una boutade da incosciente, come vorrebbero gli antibordighisti, ma una specie di sfottente provocazione sui limiti della conoscenza borghese. Siamo curiosi di vedere come andrà a finire il progetto di una spedizione umana su Marte e, quand'anche l'astronave fosse lanciata e vi fosse la definitiva verifica sperimentale della sopravvivenza dell'uomo nello spazio, non ce ne importerà niente del fatto che Bordiga risulterà "smentito". L'importante è che il nostro vecchio maestro, anche da morto, ci costringe continuamente a studiare e quindi a mettere in pratica la sua raccomandazione secondo la quale un buon rivoluzionario non parla mai senza aver imparato ad ascoltare e non scrive un rigo senza aver imparato a leggere.

Note

(135) Steven Weinberg, Alla ricerca delle leggi ultime della fisica, ed. Il Melangolo, pag. 44.

(136) Oggi si discute molto sul "principio antropico" e sulle teorie secondo cui tutti gli universi logicamente autoconsistenti esistono nella realtà. Una teoria del genere fu alla base del celebre romanzo di Fredric Brown, Assurdo Universo del 1949 (ripubblicato negli Oscar Mondadori). Questi universi sarebbero regolati dalle più svariate leggi compatibili con la loro natura e perciò sarebbero abitati da esseri che rispondono a queste leggi, le ricercano e le conoscono (cfr. Yurij Castelfranchi, "Infiniti universi allacciati", Sapere, giugno 1998, specie il riquadro con l'intervista al fisico Denis Sciama, il quale ritiene arbitrario escludere l'esistenza degli universi possibili). Il riferimento a questi esempi, come ad altri che verranno dopo, non significa che li condividiamo.

(137) Anche la fonte del campo gravitazionale va trattata come un punto matematico: "Un singolo punto materiale in stato di quiete sarà rappresentato da un campo gravitazionale regolare e finito in ogni suo luogo, tranne che in quello in cui si trova il punto materiale: in quel luogo il campo ha una singolarità" (A. Einstein, Autobiografia scientifica cit. pag. 47).

(138) Al posto della navicella, immaginiamo il solito ascensore di Einstein: "Le dimensioni dell'ascensore debbono essere limitate, di guisa che l'eguaglianza dell'accelerazione di tutti i corpi relativamente all'osservatore esterno possa venire ammessa" (A. Einstein e L. Infeld, L'evoluzione della fisica cit. pag. 226). Se immaginiamo l'ascensore abbastanza grande da renderci intuitiva la situazione, per esempio con le pareti che cadono su meridiani e paralleli diversi, ci rendiamo immediatamente conto che al suo interno gli oggetti cadrebbero lungo direzioni convergenti verso il centro della terra e la condizione posta nella citazione non si avvererebbe, cioè non vi sarebbe eguaglianza di accelerazione di tutti i corpi relativamente all'osservatore esterno. Da un punto di vista puramente matematico, la differenza sussisterebbe anche se l'ascensore fosse largo un metro (per tutta questa parte cfr. anche Fang Li Zhi e Chu Yao Quan, Verso l'unificazione, Garzanti, pagg. 90 e segg.; inoltre: Tullio Regge, "La gravità discreta", Le Scienze n. 331, marzo 1996).

(139) Gli astronauti riferiscono che gli oggetti lasciati liberi di galleggiare in una navicella sono sottoposti ad una "deriva", cioè si muovono in modo diverso dal veicolo che li contiene e trasporta. Abbiamo cercato di approfondire questo strano fenomeno, ma non siamo riusciti a stabilire se vi è una relazione con le leggi relativistiche o se è semplicemente un effetto blando di ciò che Bordiga calcola in modo inadeguato a proposito di Gagarin (cfr. la lettera del compagno fisico nella seconda parte di questo volume e relativa risposta).

(140) Secondo altri, al contrario, gli anelli rappresentano un satellite la cui materia non è riuscita ad aggregarsi in quanto si è raccolta al di sotto del limite oltre il quale un corpo orbita in modo stabile (limite di Roche). Per quanto riguarda l'effetto marea, è bene ricordare che è improprio parlare di "attrazione" reciproca, ma si definisce meglio il fenomeno dicendo che, per esempio, la Terra provoca una deformazione dello spazio-tempo la quale, a 400.000 km di distanza, influisce sulla disposizione della materia solida della Luna rendendola ovoidale di circa quattro km rispetto alla forma sferica che avrebbe se fosse lontana da ogni massa (1.738 km di diametro medio). Questo è anche il motivo della stabilizzazione della rotazione lunare, per cui vediamo sempre la stessa faccia del satellite. Il fenomeno di marea, per cui l'asse maggiore di un satellite si orienta alla linea di congiunzione con il pianeta, si chiama "stabilizzazione a gradiente di gravità" e viene utilizzato in campo astronautico per stabilizzare i satelliti artificiali (il massimo esempio è stato finora il sistema Shuttle-Tethered).

(141) Il calcolo citato sull'ipotetico elettrone è stato compiuto dal fisico Michael Berry ed è riportato nell'articolo di David Ruelle "Determinismo e predicibilità" in Il Caos, Le Scienze Editore. Occorre tener conto anche del problema del tempo, che varia a seconda delle velocità relative, dell'accelerazione e della gravità: "Einstein sostituisce il problema dell'interazione gravitazionale con un problema geometrico: la presenza della materia curva lo spazio e il moto ne viene alterato [...] La relatività generale collega in modo preciso il problema dell'interazione alla struttura dello spazio-tempo. Il tempo proprio a un osservatore situato in un campo gravitazionale differisce da quello proprio a un osservatore situato lontano da qualunque materia. Tale previsione estremamente audace della relatività generale è stata verificata sperimentalmente" (Ilya Prigogine, Interazione, Enc. Einaudi, vol. 7 pag. 865).

(142) L'instabilità di Bénard è citata in: Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza, Einaudi, pag. 146; anche in I. Prigogine, La nascita del tempo, Bompiani, pag. 70.

(143) "In tutti questi casi, numerose e disordinate interazioni locali (collisioni chimiche) producono, a livello macroscopico, dei veri e propri fenomeni d'organizzazione, una strutturazione dello spazio e del tempo. In seno ad un sistema strutturato in questa maniera, lo spazio non è più così invariante come suppone la dinamica" (Ilya Prigogine, Interazione cit.). Come nel caso delle "celle" sopra descritte, la gravità, che produce una deformazione spazio-temporale, potrebbe non essere estranea alla guida dei processi vitali di formazione (morfogenesi).

(144) Per curiosità: la massa terrestre imprime allo spazio una curvatura di raggio 20 minuti-luce (i calcoli sono in: P. G. Bergmann, L'enigma della gravitazione, ed. EST Mondadori, pag. 91).

(145) Oppure è come chiedersi se per caso non esista la possibilità di unificare tutte le forze in un'unica teoria. Per esempio, a Sheldon Glashow, ad Abdus Salam e al già nominato Steven Weinberg fu assegnato il Nobel per "il loro contributo alla teoria dell'unificazione dell'interazione elettrodebole ed elettromagnetica tra le particelle elementari". Hideki Yukawa, dopo aver sistemato la formalizzazione per l'interazione forte, tentò l'unificazione con quella debole. Una conferma che una teoria dell'unificazione può essere ricercata e sostenuta venne dal CERN dove, nel 1983, il fisico Carlo Rubbia e la sua équipe sono riusciti ad osservare i bosoni vettori per cui fu loro assegnato il premio Nobel nel 1984.

(146) Eliminiamo tutte le masse dell'universo e senza riferimento ad esse non avrà effettivamente senso parlare di moto, uniforme o non uniforme. Ma è proprio perché l'esperimento è del tutto concettuale che Bordiga parla di "principio filosofico di Einstein". In realtà quest'ultimo non fa suo nessun principio filosofico di Mach, questa è solo una convinzione diffusa che, come sembra, anche Bordiga assorbe: ciò è dovuto all'estrema correttezza di Einstein che ha sempre riconosciuto in Mach (e in altri) l'ispiratore della teoria della relatività, ma solo l'ispiratore. Einstein scriveva a Michele Besso nel 1917: "[Mach] non può dar vita a niente di vivo, può soltanto sterminare parassiti nocivi" (citato in G. Holton, L'immaginazione scientifica, Einaudi, pag. 164). Negli ultimi anni della sua vita Einstein chiamò "assioma fondamentale del mio pensiero" l'esistenza di una realtà fisica indipendente dal soggetto che la pensa e osserva, in antitesi con le teorie empiriocriticiste di Mach e anche della scuola quantistica dominante.

(147) Cfr. A. J. Legget, I problemi della fisica, Einaudi, cap. IV "Fisica su scala umana", un piccolo classico ormai presente in tutte le bibliografie dei corsi di fisica universitaria di base.

(148) La stragrande maggioranza dei fisici esistenti si dedica naturalmente agli studi relativi a questo mondo di mezzo, dato che è da esso che si ricavano quattrini in forma di stipendio o di parcella. Ma questi fisici non si pongono problemi e adottano pedestremente il comportamento ricordato più volte da Feynman: "Non esiste nessun dubbio di carattere sperimentale relativamente [allo schema fondamentale della elettrodinamica quantistica]. Si possono avere dubbi filosofici a iosa sul significato da dare alle ampiezze, ammesso che ne abbiano uno, ma la fisica è una scienza sperimentale e poiché tale schema dà risultati in accordo con gli esperimenti, noi fisici finora ne siamo più che soddisfatti" (R. P. Feynman, Q.E.D. La strana teoria della luce e della materia, ediz. Adelphi, pag. 155). Bisogna notare che se lo stesso Feynman si fosse attenuto alla sua scherzosa affermazione non avrebbe potuto fare gran che per aggiungere qualcosa alla fisica.

(149) A. Einstein, Autobiografia cit. In poche pagine l'autore sintetizza quello che chiama "il mio credo epistemologico", scritto secondo il metodo di una scientifica e materialistica "fuga dalla meraviglia". Chissà che cosa avrebbe detto Einstein nel sentire gli sproloqui spaziali dei portavoce della NASA o dell'ente spaziale sovietico.

(150) Ibid. pag. 52.

(151) Ibid. pag. 53

(152) Bordiga considerava Francesco Severi, che fu con Castelnuovo fondatore della scuola di geometria algebrica italiana, "il più grande matematico vivente" (in Critica alla filosofia, di prossima pubblicazione).

(153) Il fatto è confermato da un vecchio compagno che con il matematico, simpatizzante del PCI, ebbe un'accesa polemica su questioni politiche. Una frequentazione fra Caccioppoli e Bordiga è anche ricordata in Mistero napoletano, di Ermanno Rea, ediz. Einaudi: Renzo Lapiccirella, un iscritto del PCI inquisito dal partito per la sua amicizia con Alma, figlia di Bordiga, fu condotto a casa di Caccioppoli dallo stesso Bordiga (pagg. 113-116). Sul suicidio di Caccioppoli Saverio Martone ha girato un film, nel cui finale sono elencate le "credenziali" del matematico, le quali riportano agli argomenti qui trattati (cfr. Bibliografia).

(154) L'ipotesi di Fantappié, che a detta degli esperti è matematicamente ineccepibile, si basa sulla reversibilità deterministica dell'equazione d'onda di D'Alembert. Il modello cosmologico conseguente è stato sviluppato sulla base della Teoria dei Gruppi e doveva essere fondamento di un "Programma di Erlangen della fisica", dal nome di una nota relazione del già citato matematico Felix Klein, il quale studiò la geometria come analisi delle proprietà invarianti rispetto a dati gruppi di trasformazioni. Fantappié morì nel 1956 e i suoi lavori furono ripresi da alcuni suoi allievi, tra i quali Giuseppe Arcidiacono, autore di una "teoria degli universi ipersferici" sviluppata dalla cosmologia proiettiva tratta dal modello di De Sitter-Castelnuovo a partire dal 1960. Vi sono dei seguaci di questa scuola anche in Francia e negli Stati Uniti.

(155) Abbiamo trovato citazioni e riferimenti a: Brillouin, Costa De Beauregard, Gabor, Rothstein, Ruyer. Costa De Beauregard, che si dichiara continuatore di Fantappié, è l'unico su cui abbiamo approfondito (cfr. Bibliografia).

(156) P. K. Feyerabend, Contro il metodo, ed. Feltrinelli.

(157) I. Licata, La realtà virtuale cit. pag. 274.

(158) Niels Bohr: "E' sbagliato pensare che sia compito della fisica scoprire come è fatta la natura. La fisica riguarda ciò che si può dire della natura". Ernst P. Jordan: "Se si misura la velocità dell'elettrone ciò significa che esso viene costretto a decidere di assumere qualche valore esattamente definito per la velocità". Wolfgang Pauli: "Non si dovrebbe tormentare il proprio cervello con il problema se qualcosa di cui non si può sapere nulla esista più di quanto si debba fare circa l'antica questione di quanti angeli stiano sulla punta di uno spillo. Ma a me pare che le domande di Einstein di fatto siano tutte di questo tipo" (citati da Gian Carlo Gherardi in Un'occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore. Nello stesso libro, del 1998, si riporta che recentemente hanno ricevuto parziale risposta sperimentale alcune delle domande di Einstein ritenute illegittime dai suoi avversari).

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