36. Doppia direzione (4)

A che cosa si "aderisce"

[Alcuni compagni, non militanti nostri (avevano costituito un gruppo di studio), vennero un paio d'anni fa a trovarci in seguito alla lettura del nostro materiale. Dopo qualche tempo organizzammo un incontro di tre giorni nella loro città e uno di questi fu dedicato a una riuscita riunione più allargata durante la quale fummo bombardati di domande. Ora si sta lavorando insieme. Quello che segue è uno stralcio dalla prima lettera da noi inviata dopo l'incontro suddetto].

 

Bisogna sottolinearlo a costo di ripeterci: non succede quasi mai [che ci sia un'intesa così]. Le orecchie della generica sinistra sono assolutamente refrattarie a certi discorsi. Tutte le volte che usciamo dallo scontato, dalla ripetizione pappagallesca, siamo guardati come extraterrestri. Quasi nessuno capisce il nesso tra ciò che diciamo e i semilavorati che la Sinistra ci ha lasciato in eredità. Ciò con voi non è successo. Se i nostri sensi non sono stati ottenebrati dall'entusiasmo, abbiamo avuto l'impressione che, come si è detto, qualcosa si stia muovendo. Invece del solito "confronto" è scaturito un lavoro. Invece del solito catalogo più o meno mascherato sulle "divergenze" da omogeneizzare è scaturita la possibilità per tutti noi di fare un ulteriore passo verso la nascita di quella scuola che oggi manca, la corrente di cui parlano le nostre Tesi.

Per carità, non montiamoci la testa, per ora il mondo non si è accorto di nulla, ovvio. Ma bisogna che siamo consapevoli delle potenzialità che la situazione ci sta preparando, perché ormai troppi "ismi" sono sputtanati, sono cioè logorati dalla loro assoluta inadeguatezza a dare spiegazioni alla vorticosa dinamica dei fatti moderni.

[Ritorniamo sulle ultime questioni toccate alla fine dell'incontro, incominciando dalla questione dell'adesione, visto che la mancanza di regole formali ha comportato l'immediato e naturale confronto con la prassi altrui].

Prima di tutto si aderisce ad un programma. Non diciamo che questo non l'avete capito, anzi, ci avete dimostrato che la vostra ricerca è andata proprio in quel senso. Ma è forse consuetudine troppo radicata il vedere dinanzi a sé solo due alternative: o si aderisce a qualche forma di partito, che si dichiari tale o si presenti nei fatti come tale, oppure si costituisce qualche forma di partito. La consuetudine non dà nessuna garanzia di correttezza teorica, infatti è esclusa dalle nostre tesi l'aggregazione di gruppi o l'adesione ad un organismo formale adeguandosi a regole semplicemente statutarie. Si aderisce al programma e, se esiste il partito formale, si aderisce individualmente ad esso perché è la stessa cosa. Abbiamo affrontato il tema discutendo con voi: la rivoluzione vincerà perché saprà risolvere la contraddizione apparente tra il contenuto (programma) e la forma (forza, prassi, azione fisica); la vittoria poggia quindi su un partito che possa definirsi al tempo stesso storico e formale.

La forza, la prassi, l'azione fisica oggi sono assenti, non certo per nostra volontà. Si aderisce quindi forzatamente solo al partito storico, al contenuto, al programma. Non si può prendere la tessera del programma e, dal punto di vista di una definizione rigorosa, non si "aderisce" neppure, ci si trova oggettivamente dentro nel senso indicato da Marx: il comunismo è un demone dal quale ci si libera soltanto sottomettendovisi incondizionatamente. Se infatti dovessimo concedere che l'adesione al programma è prevalentemente di carattere soggettivo, cioè una "scelta" permessa dal libero arbitrio, cadremmo nell'errore culturalistico e in tutto ciò che ne consegue.

Non a caso abbiamo detto "prevalentemente". Il programma che lavora in noi esige che ci trasformiamo in "utensili vivi" della rivoluzione, e questo comporta un primo livello, impercettibile ma presente, di quel rovesciamento della prassi che sarà caratteristica peculiare del partito sviluppato.

In questa breve sintesi sta tutta la nostra battaglia nel tentativo di spiegare ai compagni che incontriamo il significato di "lavorare con metodo di partito anche senza il partito". Scusate le autocitazioni, ma sembra che questo sia stato e sia uno dei punti più ostici quando parliamo con dei compagni. I Quaderni sono un veicolo di lavoro e di propaganda, di elaborati redatti secondo i crismi dell'ortodossia marxista (almeno nelle intenzioni). Il fatto che tutti chiamino con lo stesso nome la compagine di compagni che produce fisicamente gli elaborati è un incidente che non deve cambiare la sostanza delle cose. Questa compagine non è per definizione una organizzazione politica formale e non funziona con "numero chiuso". Essa assorbe dall'ambiente gli spunti sul materiale da elaborare e ne riverbera sullo stesso ambiente i risultati, come dicono le tesi di Napoli parlando del partito. In questo senso neppure il partito è un organismo chiuso. Solo l'organizzazione è chiusa, per ragioni funzionali, per sicurezza, per utilizzare al massimo rendimento gli schemi formali che dovrà darsi. Abbiamo ricordato con voi che anche Lenin ne parla. Gli schemi formali dello strumento partito, dell'organo della rivoluzione sono relativi al suo sviluppo. Amadeo dice nelle Tesi di Milano che l'abuso di formalismi quando non ve ne sia necessità vitale è sempre stato un pericolo sospetto e stupido. Gli schemi formali di cui abbiamo bisogno oggi sono ben povera cosa e non permettono a chi sia giunto ad un risultato qualsiasi di ergersi a organizzazione nei confronti di altri cui chiedere di aderire.

Non diciamo tutto questo per una qualche sorta di falsa modestia, siamo consapevoli di aver raggiunto dei risultati non trascurabili. Qualcosa ci ha messo in condizione di farlo e lo verifichiamo nel confronto con ciò che ci sta intorno, le pubblicazioni degli altri, gli incontri, le discussioni, ecc. Ma ci sembra far parte della teoria dello sviluppo del partito la considerazione di Amadeo quando risponde ad un compagno che non si acquista il biglietto che dia garanzia al posto prenotato per lo spettacolo della rivoluzione. Chiunque come noi giunga a risultati in linea con le esigenze dello sviluppo del lavoro iniziato dalla Sinistra, ha i numeri per inserirsi automaticamente nello stesso lavoro.

Ne deriva che noi commetteremmo un errore se lavorassimo per una fusione di due gruppi. Ma questo solo se tali gruppi fossero come tanti altri che ci sono in giro, cioè dei partitini formali e per nulla in armonia col partito storico. Il lavoro che voi ci chiedete e che noi proponiamo non è quello della fusione delle nostre forze per "fare" un gruppo più grosso, questo ci sembra di averlo spiegato.

Se dei compagni sono effettivamente giunti ai risultati che abbiamo sentito e lavorano per migliorarli, e cercano di uscire dalla limitatezza del lavoro locale, non ha più senso specificare se sono essi che aderiscono ai Quaderni o se invece sono i Quaderni ad aderire al loro lavoro [in quanto tutti aderiscono a un programma; non è una questione di numero o di chi ha incominciato prima].

Siamo sicuri che da un unico breve incontro scaturisce più entusiasmo reciproco di quanto sia giustificato aspettarsene, ma non ha nessuna importanza. Sappiamo benissimo che oggi tutto è reso difficile nei termini che abbiamo insieme tratteggiato, controrivoluzione e tutto il resto. Però dobbiamo essere ottimisti perché negli ultimi tempi si moltiplicano piccoli segnali che indicano quanto siano pieni di conseguenze i fatti economici e politici che hanno portato all'integrazione capitalistica mondiale, al crollo dell'Est, alla Guerra del Golfo, alla finanziarizzazione spinta di un'economia che diventa sempre più a-nazionale.

Quando c'era il partito (che neanche il grande Amadeo ha potuto fare diverso da quello che poteva essere) c'era naturalmente una prassi d'ingresso, cioè un tempo d'attesa e una richiesta formale d'adesione che promuoveva il simpatizzante a militante; c'erano i responsabili di sezione e di regione; c'erano centri nazionali e il cosiddetto BIC, Bureau International Central. Abbiamo ritenuto che questo armamentario non sia per ora utile e forse non lo sarà mai più. Comunque in questo momento voliamo più in basso delle aquile per necessità di cose e tra noi non vi sono distinzioni formali fra compagni. Ciò non significa che abbiamo deciso di razzolare come galline, che abbiamo introdotto un egualitarismo democratico, o che rifiutiamo per principio l'autorità e la direzione, tutt'altro: solo che non ci sembra utile per ora sancire o registrare in qualche modo le naturali differenze d'impegno. Applichiamo alla lettera le Tesi di Milano, oggi va benissimo così.

Ora, visto che avete già impostato bene il lavoro di approfondimento dei temi cari alla Sinistra, non abbiamo che da chiedervi poche cose.

Prima di tutto una sulla benedetta questione dell'omogeneità o, detto in altro modo, la questione delle divergenze. Avrete notato che non abbiamo insistito nell'indagare sulla vostra "ortodossia bordighista" e non abbiamo cercato di spulciare fra le discussioni in cerca di eventuali falle antimarxiste. Abbiamo ascoltato con attenzione le vostre domande e a queste abbiamo cercato di rispondere nel modo più esauriente possibile. Di domande noi ne abbiamo fatte poche, cioè non abbiamo volutamente atteggiarci a chi fa l'esamino di idoneità. Il motivo è duplice: da una parte era inutile perché ci è sembrato chiaro il vostro indirizzo di lavoro e la profondità della vostra ricerca anche in relazione agli errori passati commessi dalla variegata corrente cui troppi dicono di appartenere; dall'altra perché siamo convinti che sia ora di finirla con i partiti saccentelli che pontificano sull'ortodossia altrui. Chi si mette a lavorare per la rivoluzione è prima esaminato che esaminante. È lui che deve suscitare la fiducia, è lui che deve conquistare proseliti con la sua azione rigorosa, è lui che deve sottoporsi allo scrutinio dei fatti e di chi lo circonda. Senza questa verifica materiale che può prendere moltissimo tempo in una situazione come quella di oggi, non è possibile rovesciare la prassi e operare con le armi della critica nei confronti del capitalismo e dei falsi rivoluzionari. L'opportunismo si combatte non tanto con gli anatemi quanto con le dimostrazioni.

L'omogeneità, il superamento delle divergenze, è il prodotto di un lavoro comune sulla base di risultati precedenti che rappresentano il grande patrimonio teorico su cui ci basiamo. Si tratta di un punto d'arrivo, non di partenza. È inutile rovesciare i termini della questione. Ne abbiamo fatto l'esperienza diretta in passato. In Lezioni delle controrivoluzioni Amadeo dice che la situazione sfavorevole basta e avanza per spiegare il fatto che siamo in pochi e che vi sono divergenze e spaccature nel nostro interno. Non esiste possibilità di omogeneizzazione previa, il marxismo è cibo per stomaci forti, non pappa per bambini d'allevamento.

Voi, rispetto ad altri che abbiamo incontrato lungo la strada, avete già fatto un passo avanti: leggendo cose nostre che non vi convincevano non avete tratto la conclusione che lì si celava sicuramente lo scivolone teorico, il pericolo opportunista; avete posto il problema e ci avete fatto capire che valeva la pena di lavorarci su. Lo faremo senz'altro e tutti quanti raggiungeremo con tale metodo formulazioni più corrette e rigorose.

I compagni che tra di voi non hanno ancora raggiunto quel metodo di lavoro dimostrano di non essere ancora maturi, ma sarebbe sbagliato non capire che ciò è normale che accada. Sta a voi dimostrare, con pazienza e non con scomuniche, la possibilità di raggiungere risultati comuni attraverso l'approfondimento degli argomenti, le dimostrazioni potenti che tappano la bocca ai chiacchieroni e stimolano i buoni marxisti. Ne abbiamo parlato: bisogna essere fermi come delle montagne nelle questioni teoriche, chiusi come cittadelle assediate; ma il proselitismo e la propaganda si fanno fuori e, come recita già il Manifesto, i comunisti disdegnano di nascondere i loro fini e i loro mezzi; sicuri della superiorità delle proprie armi, possono discutere anche col diavolo, se questo risultasse di una qualche utilità rivoluzionaria.

Ma non siamo per l'ecumenismo di sinistra, pratica già bacchettata da Amadeo al tempo dei Quadrifogli, pratica oltretutto dimostratasi assolutamente inefficace anche per combinare pastrocchi che durassero più di una settimana.

Una seconda cosa che vogliamo chiedervi è quella di mantenere uno stretto contatto con tutti i compagni cercando di evitare di considerarvi "quelli della città tal dei tali" che parlano con "quelli di quell'altra città" o "quell'altra ancora" ecc. Diciamo questo sapendo che comunque i gruppi locali, come era successo alle vecchie sezioni del partito, crescono nel lavoro locale di gruppo maturando inevitabilmente una loro specifica omogeneità. Ciò si è dimostrato in passato estremamente deleterio, anche perché si tratta di una naturale propensione tribale legata al territorio che la nostra specie non è ancora riuscita a scrollarsi di dosso. La specificità dei partiti comunisti nazionali è stata una delle cause maggiori del disastro dell'Internazionale, non bisogna dimenticarlo. Occorre che tutti facciamo il massimo sforzo per comunicare spesso, scrivendo, incontrandoci, telefonando, andando a spasso o facendo un lavoro a distanza. All'interno del lavoro rivoluzionario, come sarà un giorno per il partito, non esistono che comunisti e ciò non è praticato in modo così ovvio come sembrerebbe naturale fare. Da parte nostra abbiamo maturato una sana avversione per questo tipo di maturazione separata contro cui abbiamo dovuto lottare, purtroppo inutilmente. Avremo raggiunto un buon risultato pratico quando nella corrispondenza o nelle discussioni saranno sparite formulazioni tipo "noi riteniamo che" oppure "voi avete scritto"... Si dovrebbe poter giungere ad un unico lavoro senza distinzioni tra settori e tra località.

Una terza richiesta che vi facciamo è la seguente. Abbiamo parlato abbastanza a lungo, lì nella vostra città, del lavoro di partito anche in mancanza di partito. La formulazione, che ha mandato in fibrillazione diversi muscoli cardiaci nelle varie discussioni che abbiamo avuto sia con gli orfani di Programma che con compagni sparsi, non è poi tanto peregrina. Pellegrini del nulla sono coloro che si affidano a schemi statutari. Certo non scritti, dato che il "bordighismo" lo esclude, ma registrati nella mentalità del centralismo democratico in modo che, senza un vero elenco di regole fisse a mo' di statuto, passano alla fine come dei principii di comportamento. Fortunatamente Amadeo ha impostato strumenti teorici che, quando siano mal utilizzati, neutralizzano i pasticcioni relegandoli in nicchie dalle quali non possono nuocere. Per esempio: se qualcuno "crea" un partito in una situazione che non permette neppure l'esistenza di una vera scuola marxista autentica, finisce per erigere intorno a sé quella "torre eburnea" che le nostre tesi escludono si debba erigere. Se d'altra parte qualcuno teorizza che non è il momento del partito e si getta in un lavoro "aperto" nel senso dell'embrassons-nous tra compagni che non hanno digerito gli stessi risultati teorici, finisce per negare la necessaria delimitazione che il concetto stesso di difesa del marxismo impone, e siamo di nuovo alle nostre tesi.

Nelle Considerazioni del '65 è spiegato come si esce dall'apparente impasse: siamo per tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli, solo che queste sono applicabili nella misura in cui i reali rapporti di forze lo consentono. Vale per il binomio teoria-azione, vale per la struttura organica del lavoro "interno". Osservare che i rapporti di forza reali non consentono lo sviluppo del partito è fin troppo banale, almeno per chi è arrivato a questo risultato, ma d'altra parte è sbagliato trarne la conclusione che si lavorerà in modo organizzato solo quando ci sarà il partito.

Amadeo cercò di smitizzare alcune concezioni radicate quanto errate sul centralismo di vecchia memoria. Il Centro? Una buca per le lettere, si dice abbia sentenziato. Alquanto esagerato, dice qualcuno. Può darsi. Ma andiamo a vedere da vicino il significato esatto di "Centro". Le Tesi di Milano ci indicano come pericolo sospetto e stupido l'adozione di talune formule organizzative quando non ve ne sia "necessità vitale". Le potenti segreterie centrali dei partiti della Terza Internazionale erano funzionali all'epoca e hanno reso un pessimo servizio al movimento rivoluzionario. Scimmiottarle oggi sarebbe idiota. La difesa del programma comunista non è compito da "segreteria politica", invenzione deleteria dello stalinismo. Se togliamo l'aggettivo "politica", rimane il termine "segreteria", non dissimile, nel contenuto, da "buca per le lettere". Ma andiamo ancora più avanti.

Nelle Considerazioni appena ricordate, Amadeo parla di "errore fatale" quando si intendesse l'organizzazione divisa in gruppi distinti, gli uni dediti al lavoro teorico, gli altri dediti all'attività pratica. Nelle stesse righe rincara la dose: "questa distinzione è mortale non solo per il corpo del partito, ma anche riguardo a un singolo militante." Amadeo non vuol certo dire che tutti debbono dedicarsi a tutto, altrimenti sarebbe in contraddizione con la perenne battaglia anticulturalista da lui condotta: nel partito sviluppato non sarà certo la totalità dei militanti a dedicarsi all'elaborazione teorica. Vuol dire semplicemente che il Centro non è l'organismo in cui risiede l'elaborazione teorica, né questa è demandata a speciali organismi di partito emanati dal Centro stesso.

Vi chiediamo dunque di non essere perplessi di fronte a questioni che in fondo trovate scritte nelle Tesi della Sinistra e che noi abbiamo provato ad esprimervi molto francamente anche attraverso la nostra esperienza diretta. Vi sono stati in passato elementi convinti che i compagni di una certa città dovevano essere il centro del lavoro di riorganizzazione del partito. Questi elementi hanno rotto clamorosamente con quei compagni e con i Quaderni poco dopo con motivazioni che tiravano in ballo, guarda caso, la nostra inadeguatezza teorica, nel senso di aderenza alle Tesi. Al contrario, altri elementi hanno avuto il terrore che gli stessi compagni di prima potessero far valere in modo politico la loro naturale centralizzazione del lavoro. Essendo giunti quando questo lavoro era già impostato da anni, invece di integrarsi in esso, anche per modificarlo, hanno preferito mantenere una loro centralizzazione, creando così le premesse per una discussione fra gruppi distinti.

Il centralismo non è un principio organizzativo. In genere lo si confonde con un dettato teorico perché è l'unico modo che i comunisti conoscono per lavorare insieme, ma fortunatamente i mezzi moderni di comunicazione non impongono più che il "Centro" debba essere composto da persone che agiscono nella stessa località, negli stessi "uffici", usufruendo della stessa burocrazia e degli stessi mezzi materiali come archivi, segreterie ecc. I nuovi sistemi di comunicazione stanno sconvolgendo il modo di lavorare dell'industria moderna, specie per quanto riguarda la struttura dell'informazione, quindi il flusso dell'autorità di fabbrica. A maggior ragione la loro semplice esistenza ha già potenzialmente sconvolto l'assetto organizzativo materiale del futuro partito. I capitalisti non riescono a utilizzare in pieno le nuove tecnologie per via dell'inerzia dovuta al costo dell'organizzazione, ma il partito rivoluzionario non ha partita doppia e realizza in pieno ciò che per ora fa parte solo della teoria dell'informazione borghese: l'informazione è a entropia negativa, i sistemi "organici" non sono dissipativi. Non abbiamo certo aspettato che la borghesia ci mettesse a disposizione il suo armamentario tecnologico per giungere, come corrente, alle nostre conclusioni, ma oggi è meno facile subire l'influsso di meccanismi organizzativi gerarchici, in fondo democratici, tipici del passato.

Integriamo il nostro lavoro, se siamo giunti agli stessi risultati; non sentiamoci come due gruppi che si "fondono" o che "aderiscono" l'uno all'altro, banalità che lasciamo ad altri, ma come militanti che aderiscono allo stesso programma, come rivoluzionari che hanno radici in comune su cui crescere congiuntamente. L'organicità è un risultato da perseguire, e forse abbiamo incominciato bene. Abbiamo intorno a noi troppa gente che si sente organica solo per aver recitato uno slogan creduto organizzativo, pratica buona per fini esistenziali, ma risibile alla luce della critica feroce dei fatti.

E con questo siamo giunti ai lavori in corso. [Seguono alcune considerazioni sul programma di lavoro stabilito durante l'incontro e altre pagine in cui è schematizzato il lavoro dei Quaderni nell'immediato e in futuro].

* * *

Scienza, fede e autorità

[Dopo una discussione fra nuovi compagni, alcuni militanti di vecchia data che vi avevano partecipato scrissero una lettera che, tra l'altro, conteneva questo contributo].

Prima di passare a parlare del lavoro deciso l'ultima volta che ci siamo visti, lasciateci un momento dire due parole su un tema che ci sembra essenziale rispetto al modo di affrontare la nostra stessa esistenza. Si tratta della presunta contrapposizione fra accettazione passiva, "fideistica" del programma e ricerca attiva, "scientifica" di esso. Tema collegato: il cosiddetto principio di autorità.

Rifacciamoci ai sacri testi con una prima osservazione. Veda, Bibbia, Talmud, Vangelo, Corano, Capitale ecc. non diventano mai "sacri testi" per loro qualità intrinseche o per volontà divina. Sono gli uomini che li fanno diventare quel che sono perché ne hanno bisogno ad un certo punto della loro attività e della loro vita, compresa la riproduzione materiale e biologica. Che un individuo li ritenga fonte di verità immanente e che un altro li ritenga fonte d'ispirazione scientifica per l'attività pratica è indifferente: essi esistono come prodotto di una precedente attività umana, hanno, come si dice, una storia che non c'entra niente con le idee che frullano nella testa del lettore individuale. In altre parole il testo non è una collezione di idee ma un prodotto materiale esistente allo stesso titolo di una pietra o della famigerata mela del reverendo Berkeley criticata da Lenin, anche se il testo ha una storia più complicata della mela.

Piuttosto pedestre, eh? Abbiate pazienza, stiamo ripetendo, ovviamente nel solo modo che sappiamo, alcune cose che ci hanno insegnato proprio quei testi. Quel che è certo è che, così facendo, ci tuffiamo in un circolo vizioso apparente: spiegare la cosa (la nostra fedeltà ai testi) con la cosa stessa, il procedimento meno scientifico che ci sia.

Fortunatamente ci hanno anche insegnato come uscire dal circolo vizioso, per questo diciamo che esso è apparente. Il fatto è che noi, a differenza degli idealisti, indaghiamo sui sacri testi e li adoperiamo non come prodotto di rivelazione o qualcosa di simile, ma come prodotto di altri uomini che hanno combattuto, lottato, vinto, perso, dimostrato o tralignato. Quel che si dice movimento, insomma, nel senso più ampio del termine (Bernstein non c'entra). E noi facciamo parte di quel movimento, cerchiamo il tracciato originario. Solo che veniamo dopo e abbiamo la possibilità di vedere una sequenza, il concatenamento fra testi prodotti in diverse epoche, in diversi contesti storici. E questo c'entra, tra l'altro, anche con il famigerato "principio di autorità" così come espresso, nelle note di Turi, da Amadeo il quale a sua volta cita Lenin.

Amadeo scrive (Tracciato) che, seguendo il nostro metodo, "le opinioni non si stabiliscono per l'opera di profeti di apostoli di pensatori nelle cui teste nascono le nuove verità per guadagnare moltitudini di seguaci. Il procedimento è tutto diverso. È il lavoro impersonale di una avanguardia dei gruppi sociali che enuclea e rende evidenti le posizioni teoriche verso cui i singoli sono portati, assai prima di averne la coscienza, dalle reali comuni condizioni in cui vivono".

Utilizziamo appositamente materiale che avete appena studiato. Qui c'è, chiaro, il rovesciamento della concezione idealistica: la coscienza, il raziocinio, la scienza, vengono dopo che il movimento reale ha portato gli individui alle "posizioni teoriche". Ma il movimento reale oggi è quello che è, non facilita certo il raggiungimento delle nostre posizioni teoriche, del nostro metodo, della nostra storia e del nostro modo di lavorare: l'approccio da parte di chi giunge al marxismo e quindi alla Sinistra dev'essere "antiscolastico, anticulturale, antilluministico. Nella presente fase di smarrimento teorico, riflesso del disorganamento pratico, se la rimessa a punto dell'impostazione produce come primo risultato l'allontanamento e non l'avvicinamento di aderenti, non vi è da stupire o da rammaricare".

Formidabile. Di fronte al mondo esterno, alle non-avanguardie, il metodo marxista è oggi tutto il contrario che convincente, anzi, è scostante, allontana invece di avvicinare i nuovi militanti. Il marxista ritiene del tutto ovvio che chi si pone il problema dell'attività rivoluzionaria da un punto di vista scolastico e culturale, cioè pseudoscientifico, abbia delle difficoltà, mentre chi è spinto per altre vie si colloca più facilmente sulla strada già tracciata. Subito dopo la frase di Amadeo citata, troviamo nel testo un altro argomento già utilizzato nelle discussioni cui abbiamo partecipato: "Ogni movimento politico nel presentare le sue tesi si richiama a precedenti storici ed in certo senso a tradizioni recenti o remote, nazionali o internazionali. Anche il movimento di cui questa rivista [Prometeo] è l'organo teorico si richiama a ben determinate origini. Ma a differenza di altri non parte da un verbo rivelato che si attribuisca a fonti sopraumane, non riconosce l'autorità di testi scritti immutabili, e nemmeno ammette canoni giuridici filosofici o morali a cui risalire nello studio di ogni questione, che si pretendano comunque insiti o immanenti nel modo di pensare e sentire di tutti gli uomini".

Ad una lettura frettolosa si potrebbe rilevare una contraddizione. Ci si potrebbe chiedere: ma se si giunge al programma per via più intuitiva che razionale, se la scienza e l'intelletto vengono dopo il risultato dell'adesione al marxismo, perché adesso affermare che il nostro movimento non riconosce l'autorità di testi immutabili? Non sono essi il condensato del "lavoro impersonale di una avanguardia dei gruppi sociali che enuclea e rende evidenti le posizioni teoriche verso cui i singoli sono portati" come prima affermato? Quindi non va riconosciuta la loro autorità? In altro testo (Critica alla filosofia) Amadeo rincara la dose sulla priorità dell'intuizione sull'intelligenza: "La differenza non va messa dunque fra l'intuizione e l'intelligenza. È con l'intuizione che l'umanità ha sempre avanzato perché l'intelligenza è conservatrice e l'intuizione è rivoluzionaria. L'intelligenza, la scienza, la conoscenza hanno origine nel movimento avanzante. Nella parte decisiva della sua dinamica la conoscenza prende le sue mosse sotto forma di una intuizione, di una conoscenza affettiva, non dimostrativa; verrà dopo l'intelligenza coi suoi calcoli, le sue contabilità, le sue dimostrazioni, le sue prove. Ma la novità, la nuova conquista, la nuova conoscenza non ha bisogno di prove, ha bisogno di fede! non ha bisogno di dubbio, ha bisogno di lotta! non ha bisogno di ragione, ha bisogno di forza!".

La storia dimostra che la forza non deriva dal cervello. Noi tutti siamo ancora troppo cervello-dipendenti, una malattia devastante che purtroppo è epidemica quando meno ce ne sarebbe bisogno: quando cioè la situazione è storicamente sfavorevole, quando i fatti materiali non favoriscono la formazione di anticorpi. Ma torniamo alla domanda: perché rifiutare l'autorità di testi immutabili? Per il semplice fatto che per noi non vi sono testi immutabili. Sono immutabili i testi rivelati, non i nostri che sono prodotti di storia e di lotta, per questo ai nostri riconosciamo autorità e agli altri no. Nella dinamica descritta sappiamo che essi verranno mutati, elaborati in nuovi testi (Tesi di Napoli). Per far ciò occorrono strumenti vivi che passino attraverso la "fede" nei risultati raggiunti e che giungano alla capacità di superarli. Ma non possono giungervi prima. Il raziocinio da solo non ha mai prodotto un'acca.

Guardiamo a certi risultati correnti per quanto riguarda la comprensione della Sinistra, da parte di vari marxologi (a Bologna ve ne erano parecchi). Nella migliore delle ipotesi la risposta al quesito raziocinante se vi sia in essa un corretto rapporto tra teoria e prassi porta alla risposta ultranota: la Sinistra ha teorizzato bene e praticato male. Ecco dove casca l'idealista: adesso che sa come sono andate le cose, dice che la Sinistra aveva ragione a criticare l'Internazionale. Ma dice che aveva torto nel modo di impostare l'azione contro di essa, nel non volere, per esempio, costituire una opposizione comune allo stalinismo. È solo un esempio preso tra le tante fesserie dette a proposito della nostra corrente, ma è illuminante: la Sinistra critica l'Internazionale per la tattica disfattista del fronte unico; il critico raziocinante dice che ciò è stato ottima cosa, infatti si è visto com'è finita la storia; però dice senza vergognarsi che per combattere la tattica del fronte unico bisognava fare un altro fronte unico, magari con Trotzky, Korsch, gli austriaci, gli olandesi ecc., non isolarsi nella frazione all'estero e via dicendo.

Non c'è contraddizione fra raziocinio e fede a patto di capire come si pongono nella questione del processo di formazione di una corrente storica, di una rivoluzione. La discussione è utile se ci fa capire anche qualcosa su sé stessa e sarebbe bene che i compagni registrassero il dato di fatto che noi non vogliamo pontificare ma interveniamo perché la discussione esiste e ci coinvolge quali interlocutori.

* * *

Mini-dialogato sui massimi sistemi

[Se la discussione diventa polemica, ciò non toglie che la si possa lo stesso condurre senza angoscia. Il dialogato che segue riprende i personaggi di quello di Galileo e fu scritto sempre in occasione della discussione precedente. Sentir pontificare dall'alto di esperienze altrui è sempre antipatico. Siccome però era anche inevitabile che il ricorso al nostro parere ci forzasse addosso i panni del pontificatore, cercammo di rendere leggera la pontificazione con qualche artificio "stilistico" che la rendesse divertente. Facemmo astrazione dalle passioni che ci prendono nell'atto delle infuocate contrapposizioni e semplificammo al massimo, fino al rischio di impersonare (noi che scrivevamo) un Sagredo neutrale (e neutrali non eravamo, partigiani nemmeno) che ascoltava discutere un Salviati raziocinante (che nella realtà raziocinava con fede!) e un Simplicio fideista (s'è mai visto un fideista che accetta di discutere con la Ragione?). Ci scusammo con Galileo per aver stravolto alquanto i suoi personaggi, dato che le esigenze della retorica imponevano lo stiracchiamento delle "posizioni". Ogni riferimento a persone o fatti reali fu quindi puramente casuale, come dice chi non vuole avere grane con gli avvocati salvandosi, nello stesso tempo, l'anima].

 

Salviati. È giusto ciò che voi dite, messer Simplicio, ovvero che le masse giungono al programma per istinto e intuizione, ma ciò succede quando il movimento spinge le masse all'azione. Oggi siamo in situazione controrivoluzionaria e noi non siamo le masse; dovremmo essere le avanguardie della Rivoluzione, l'ha detto Marx nel Manifesto, vero? Il marxismo è scienza e, in quanto tale, per noi che non siamo ancora partito che agisce nella rivoluzione, esso va accettato e compreso attraverso un approccio scientifico, non fideistico.

 

Simplicio. Ben argomentate voi, ma io, e molti come me, sono giunto prima al marxismo con i visceri e con il cuore, con la lotta e con l'istinto, solo dopo ho capito che lì vi era veramente quel che cercavo. E ho approfondito i temi, allargato le mie conoscenze, e ho raggiunto orizzonti che non sospettavo.

 

Salviati. Tutti sono spinti dall'istinto e dalla lotta, ma è proprio per questo che diventiamo avanguardie, che abbiamo la possibilità di rappresentare la parte più avanzata del movimento operaio, di trattare il marxismo come scienza e quindi dare una spiegazione ai fatti che derivano dalle basi economiche della società. Non ci può bastare una fede, abbiamo necessità di capire ogni processo materiale, altrimenti siamo passibili di errore e danneggeremo la rivoluzione quando la storia ci chiamerà all'azione.

 

Simplicio. La fede non è affatto un atteggiamento escluso dalle nostre tesi, anzi. Bordiga dice che negli uomini prima si muovono i piedi, per ultimo il cervello. Non sottovalutate la forza della convinzione raggiunta per via materiale. Havvi molto di scritto su questo tema e la ragione non basta a garantire gli uomini dall'errore, guardate per esempio che fine han fatto i grandi conoscitori di Marx della Seconda Internazionale.

 

Salviati. D'accordo, suvvia, lo so benissimo. Ma di fronte alla necessità di ricerca, di fronte ai quesiti che si pongono al militante, non si può rispondere: è così e basta. L'ha detto anche Lenin. Concedetemi, egli non ha risposto in quel modo alla Luxemburg. Le ha spiegato per filo e per segno come e dove ella aveva torto. Del resto mi sarebbe facile contraddire Bordiga con Lenin, là dove Vladimiro nega che si possa spiegare alcunché con il fideismo.

 

Sagredo. La disputa fra voi messeri si avvia ad essere interessante, ma non mi sembra che così si addivenga ad una conclusione. Allo stesso modo io posso mettere in crisi Lenin citando Bordiga con l'avvertenza di appoggiarmi anche su Marx. Posso anche mettere in contraddizione Bordiga con Bordiga, Lenin con Lenin e Marx con Marx. Facciamo un paio di esempi opportuni. Ad un certo punto del Capitale Marx spiega: "È una pura tautologia dire che le crisi derivano dalla mancanza di consumatori solvibili... le crisi vengono appunto preparate ogni volta da un periodo in cui il salario generalmente cresce e la classe operaia riceve realiter una quota maggiore della parte di prodotto annuo destinato al consumo". Sembra abbastanza chiaro, eppure nello stesso testo Marx spiega il contrario: "La causa ultima di tutte le crisi economiche rimane sempre la povertà e la limitatezza di consumo delle masse, in contrasto con la propensione della produzione capitalistica a sviluppare le forze produttive ad un grado che pone come unico suo limite le capacità di consumo assoluto della società". Ci metteremo a discutere per sei mesi sulle contraddizioni dell'esempio? Eccone un altro questa volta tratto da Bordiga (Riunione di Milano del 7 settembre 1952): il partito è organo di classe "a condizione che non sia di Tizio o di Mevio, che non si alimenti di ammirazione per il capo, che ritorni a difendere, se occorre con cieca fede, (corsivo nel testo) l'invariabile teoria ecc.". Confrontiamo con un altro passo: "Nel partito rivoluzionario le ubbidienze sono spontanee e totali ma non sono cieche e forzate, e la disciplina centrale vale un'armonia perfetta delle funzioni e della azione della base e del centro". Sembra adunque che il problema non sia stato punto individuato, perché non è la frase che ci dà il senso del contenuto bensì la sua lettura non solo nel contesto ma nell'ambito della conoscenza di che cosa sono sia il marxismo che, specificamente, la sua continuazione che è la Sinistra.

 

Simplicio. Per me la cosa è semplice e non avevo neppur bisogno del pur utile puntualizzare di messer Sagredo: stabilito il principio di autorità che deriva, come dice Engels, come dice Bordiga citando Lenin, da un arco storico che fissa una tradizione nello spazio e nel tempo anche futuro, ad esso ci dobbiamo attenere, ciecamente o razionalmente, dite come volete. Se troviamo una contraddizione in Marx vuol dire che o non abbiamo capito il contesto delle frasi, o non abbiamo imparato a fissare il principio di autorità non in Marx e nelle sue frasi ma nell'arco storico che ha espresso un Marx, il quale, come individuo, può ben sbagliare un rigo ma non, come portato della storia, tutta l'opera sua. Comunque a me basta l'ipse dixit perché lì vedo appunto la cristallizzazione dell'arco storico.

 

Salviati. Se vogliamo significare che occorre approfondire i temi e studiare sulle contraddizioni apparenti è certo che non si può non convenire, a parte l'ipse dixit che per me è pura fede indimostrata. Io come militante comunista, sono giunto qui per la via dell'intuizione e dell'istinto, d'accordo. Ma devo andare oltre. Se Marx dice che i comunisti sono l'avanguardia della classe operaia e io, come tutti, ho dei problemi da risolvere, non posso accontentarmi dell'ipse dixit. Esso non spiega, sentenzia. Come dice Lenin, i marxisti non sono coloro che sentenziano ma sono coloro che danno spiegazione dei processi in corso. Quindi sanno dare spiegazioni anche ai militanti. Se qui c'è un problema da risolvere ci deve essere la risposta, non un generico atto di fede.

 

Simplicio. Giusto. Ma se io sono quello che pratica l'atto di fede come voi dite, mentre la risposta scientifica è razionale, essa non può venire da me. La risposta non ve la può dare il fideista anche perché non l'accettereste pur se vi potesse essere. Non ve la può dare il razionalista perché questo siete voi che fate la domanda e se fate la domanda vuol dire che non conoscete la risposta.

 

Sagredo. La situazione si presenta un poco paradossale: chi non ha bisogno di risposte ha la risposta senza porsi domande. Chi ritiene che questa risposta non sia conclusiva ha bisogno di risposte e perciò di domande. Chi fa domande non può avere risposta perché dovrebbe rispondere a sé stesso. Interessante, nevvero? D'altronde debbo rilevare che, partigiani o nemici dell'ipse dixit, entrambi, o messeri, ne fate larghissimo uso. Il fatto è che l'usate non per accettare questa autorità e subordinarvi ad essa, bensì per trovare in essa sostegno alla vostra propria autorità personale, per sostenere le vostre rispettive tesi. Ma prescindiamo da questo uso personale dell'autorità. Il semplice ricorso ad essa non è forse dovuto al fatto che indipendentemente dal valore morale che le date ne avete comunque bisogno? E allora potrebbe profilarsi la risposta anche per messer xx, che non di principio si tratta, ma di necessità, come quando la ciurma si sottomette al nocchiero durante la tempesta, come dice Engels, molto opportunamente letto da messer yy. Ora, io sento con gran gusto questi discorsi, e maggiore credo che sarà dopo che mi abbiate rimossa una difficoltà, la quale è che io non riesco a capacitarmi della cagione della disputa ma soprattutto del suo proposito. Quale dunque è l'effetto pratico dell'azione di uomini che s'ingegnano di lavorare per la rivoluzione se pur gli uni giungono a tale necessità per via d'istinto e altri cercando risposte razionali? Voi non siete due distinti astri nel firmamento ma cellule di un organismo che vi utilizzerà secondo quel che gli saprete dare, ed esso vi utilizzerà in somma e non in separazione. Non siete voi che usate l'organismo ma è questo che usa voi, e lo farà con altri, e altri ne ha già usati che han smesso di disputare, perché in un organismo si formano e si distruggono cellule, che sono sempre diverse, mentre l'organismo è sempre lo stesso e va verso il suo scopo. Ben dovreste averlo appreso se avete pronto un saggio sul centralismo organico.

 

Chiediamo venia per il divertissement ma era impossibile affrontare l'argomento in modo "serio" senza farvi venire una barba fino alle caviglie. Siamo sicuri che saprete cavarvela benissimo con il ricorso alle sacre letture e a un minimo di sottomissione all'autorità dei grossi calibri nostri antenati.

Gli argomenti potrebbero essere maneggiati non da noi ma da voi (arieccoci col noi e voi) in trattatelli di poche pagine o, perché no, articoli per le Lettere o per i Quaderni. Così facendo eviterete un pernicioso effetto V.T. (Vecchi Tromboni) che consiste nel ricorso a personaggi che solo per anagrafe e annosa frequentazione dei ranghi si presume abbiano sufficiente esperienza e magazzino teoretico. Sono personaggi molto comodi, come la televisione, ma, come questa, inducono ad una passività non giustificata e ad una certa pigrizia mentale (tanto parlano sempre loro).

* * *

Consigli pratici

[In una recente riunione con alcuni compagni avvicinatisi da poco al nostro lavoro furono affrontate questioni relative all'attività pratica e all'atteggiamento nei confronti di nostri eventuali interlocutori, sia simpatizzanti che di altre organizzazioni. Questa lettera riprendeva i punti salienti].

 

Ecco allegato il manifestino per le elezioni amministrative. Il testo è molto breve, sia per le necessità del particolare veicolo di comunicazione, sia perché un avvenimento come le elezioni locali non richiede grandi discorsi. Che abbiamo delle riserve sull'utilità pratica di questa particolare forma di propaganda l'abbiamo già detto e quindi non insistiamo; oltretutto non esiste (né può esistere) una ricetta su ciò che si "deve" o "non deve" fare in questo campo. Ci sembra soltanto ovvio constatare che il passante guarda alle affissioni con occhio molto distratto, per di più in un periodo in cui il nostro messaggio si mescola a tutta la spazzatura elettorale. Comunque non vogliamo assolutamente trasformare la nostra impressione in una tesi politica: del resto voi potreste controbattere che è proprio in mezzo alla spazzatura altrui che risalta una voce controcorrente come la nostra.

Volevamo piuttosto soffermarci sull'aspetto più importante della nostra propaganda, che non è solo quello di farci conoscere sul momento, ma quello di scoprire se vi sono degli elementi che possono essere interessati a lavorare con noi per gli scopi che ci prefiggiamo. Come vedete siamo al solito problema: è il futuro che plasma la nostra attività di oggi. È per questo che non adottiamo i metodi correnti di "fare politica"; soprattutto siamo contrari ad usare gli espedienti tratti dalle abitudini politiche dei vari gruppetti e partitini, cioè le polemiche sterili, le difese d'ufficio del proprio orticello, il finto rigore organizzativo che si traduce in caporalismo ecc.

La propaganda è un elemento indispensabile della nostra attività e, compatibilmente con le energie disponibili, ogni mezzo per far sapere almeno che esistiamo è certamente valido, ma è altrettanto certo che lo utilizziamo per avere un risultato pratico in modo diverso dagli altri: aumentare la nostra forza non in modo qualsiasi ma secondo criteri dati da un'esperienza storica.

Ora, la "forza", come ha spesso dimostrato la Sinistra, non deriva né dal semplice numero, né dalla semplice manifestazione di energia (attività), né dalle elucubrazioni di qualche dotato cervellone, né da qualche altra particolare categoria soggettiva dell'organizzazione rivoluzionaria.

Scusate se insistiamo un po' su questo argomento ma, siccome abbiamo incominciato a lavorare insieme e le cose ci sembra stiano procedendo per il meglio, preferiamo ripeterci piuttosto che rischiare incomprensioni future. Non siamo mai stati contrari ad alcuna forma di attività che sia compatibile con gli scopi rivoluzionari, ma sarebbe profondamente sbagliato, oggi, attendersi da questi interventi un cambiamento qualitativamente e quantitativamente incisivo della nostra situazione. Tutti coloro che coltivano aspettative improprie dall'attività e spingono per ottenere cambiamenti della "situazione" attraverso forme soggettivistiche di impegno, sono destinati ad avere gravi delusioni e, in genere, contribuiscono a demolire risultati raggiunti invece che a consolidarli o addirittura migliorarli. Le crisi che ogni tanto colpiscono i gruppetti e i partitini della sinistra hanno radice attivistica al 99 per cento, basti pensare alla storia recente anche di organizzazioni che avevano migliaia di militanti, dai maoisti agli eclettici di Lotta Continua ecc. Se avessimo avuto ancora bisogno di prove, la nostra stessa esperienza ce le ha fornite in abbondanza: l'organizzazione di cui facevamo parte non è stata distrutta dall'intelligenza perversa, dall'imbecillità o dal tradimento di qualche individuo, ma da un processo di affermazione dell'attivismo che ha portato ad una crescita abnorme del numero dei militanti e delle sezioni. L'attivismo si è così autoalimentato con l'ingresso di persone che, non avendo nulla a che fare con la Sinistra e non avendo nessuna intenzione di adeguarsi ai suoi insegnamenti, erano alla continua ricerca di espedienti che garantissero il "successo". Si garantirono invece l'esplosione finale, inevitabile e da noi persino prevista.

Ciò che stiamo dicendo non ha nessun rapporto con il fatto di distribuire più volantini della media o di affiggere manifesti in occasione delle elezioni amministrative, cosa quest'ultima che non abbiamo mai fatto ma che nulla ci impedisce di incominciare a fare. È ovvio che se vi sentite di fare quel tipo di intervento fate benissimo a farlo, così come avete fatto benissimo ad assicurarvi che non fossimo dei topi da biblioteca, astratti, settari e attendisti, come la propaganda avversaria ha sempre amato dipingere la Sinistra. Ma ogni tipo di attività deve essere subordinata agli scopi che ci prefiggiamo per il futuro e non deve mai essere fine a sé stessa. Così dobbiamo essere convinti in anticipo che, se un manifestino affisso a xx ci porta un nuovo aderente, noi dovremo essere in grado di integrarlo in un lavoro il cui fine non è di sicuro affiggere ancora più manifestini a xx. Se qualcuno si avvicina, il nostro scopo è di fare in modo che in quella località possa svilupparsi un lavoro organicamente collegato a quello che si svolge a yy o dovunque vi siano compagni impegnati al nostro progetto. Forse è proprio quest'ultima la parola chiave per capire i nostri compiti, perché la pura e semplice distribuzione del Verbo non ha mai conquistato nuovi compagni alla rivoluzione, mentre ne ha conquistati molti ad un lavoro di semplice proliferazione di gruppetti che sono uno la fotocopia dell'altro. Sfidiamo chiunque a dimostrare quali sostanziali differenze (non per quello che dicono di essere, ma per quello che sono) passino tra la ventina di piccoli gruppi che formano oggi la cosiddetta area della sinistra in Italia, Francia, Belgio, Spagna, ecc.

Progetto è una parola impegnativa, ma non per questo ne dobbiamo avere timore. Essa significa semplicemente "anticipazione" ed è strettamente correlata a quell'altra parola, programma, usata più frequentemente, e che significa ordine temporale e modalità di una serie di eventi che portano ad un certo risultato. Noi sappiamo che cosa vogliamo ottenere e sappiamo anche di basarci su dati che scaturiscono da una realtà determinata, per questo non siamo utopisti "creatori" di modelli. Certo, se uno vuole può chiamare progetto anche la creazione ideale, ma non farebbe che utilizzare il termine in modo improprio. La nostra anticipazione di eventi futuri (e anche di forme) è descritta in quella che noi consideriamo dottrina fondamentale delle rivoluzioni (plurale), il marxismo: da ciò deriva che non possiamo mai fermarci, mentre i gruppetti nominati si fanno vanto di essere immobili, cementati alle categorie politiche di un processo già esaurito con la degenerazione della Terza Internazionale.

Solo l'idealismo più becero immagina il progetto come creazione della mente. In realtà, il vero progetto non è che trascrizione di un oggetto o evento futuro, conosciuto attraverso materiali e modalità del presente. Neppure l'artista, che più di tutti pensa di essere un "creatore", si sottrae al determinismo che gli fa registrare modalità esistenti con materiali esistenti, utilizzati con tecniche esistenti. Neppure l'artista, quindi, può sottrarsi al progetto, nel senso che registra un dato futuro, anticipa sul suo mezzo (tela, marmo, carta da musica) ciò che il processo sociale gli suggerisce. Altro che "creare".

Se l'attività, intesa come la intendono praticamente tutti, è ridotta all'esistenza di uomini che perpetuano concetti e li riproducono in fotocopia trasmettendoseli gli uni con gli altri, essa non ha nulla di rivoluzionario, è, al contrario, conservatrice. L'attività intesa come la intendiamo noi marxisti è invece rivoluzionaria perché tesa a produrre effetti, non fine a sé stessa. Ma non si possono produrre effetti come e quando si vuole. Solo in certi campi lo possiamo ottenere e a gradi diversi. Quali sono questi campi oggi? Quando nelle nostre tesi si dice che anche nelle situazioni storicamente sfavorevoli "rivendichiamo tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in cui i reali rapporti di forza lo consentono", è evidente che l'accento va posto sulla seconda parte della frase. Chi non facesse così cadrebbe automaticamente nell'errore di immaginare che si può, con l'attività, cambiare la situazione da sfavorevole in favorevole. Sarebbe un idealista velleitario, un attivista distruttore di possibilità future, perché penserebbe di poter produrre effetti sulla realtà anche quando i rapporti di forza lo impediscono.

Oggi, oltre al lavoro interno per le riunioni e la comunicazione tra i militanti, i campi "esterni" in cui possiamo dire la nostra, cioè produrre effetti, sono assai limitati ma non inesistenti. Possiamo per esempio dedicare gran parte delle nostre forze per mettere a disposizione dei militanti gli originali dei testi marxisti. Sembra una banalità? I testi servono ai compagni e nessuno li pubblica, tutti li prendono da noi. Abbiamo coabitato per molto tempo con chi stentava a pubblicare il patrimonio immenso che la Sinistra aveva prodotto, ma non lesinava sforzi veramente attivistici per pubblicare una pletora di riviste, giornaletti e opuscoli "di lotta" che non approfondivano nulla e che poco facevano per mettere a disposizione dei militanti gli strumenti necessari al lavoro. Quell'attivismo non solo non ha portato risultati, ma ha distrutto il partito.

Dato che il lavoro di stampa non si può ridurre ai testi canonici, abbiamo anche un altro veicolo, rappresentato dai Quaderni e dalle Lettere. La stampa in questo caso serve soprattutto per mettere a disposizione di tutti i risultati raggiunti con il lavoro. Ovviamente non possiamo sapere in anticipo se quest'ultimo "produce effetti" sugli altri, ma ci attendiamo ulteriori risultati dalla coerenza che sappiamo mantenere e dalla possibilità di verifica con i fatti reali. Noi che seguiamo abbastanza attentamente la stampa altrui, affermiamo con tutta sicurezza che lì non troviamo praticamente nulla che ci aiuti a capire cosa succede nel mondo e quali siano le tendenze del capitalismo ultramaturo. Se è vero che abbiamo ancora molta strada da percorrere, è certo che almeno l'abbiamo imboccata. Finalmente.

Un altro campo in cui possiamo agire senza stravolgere il significato delle nostre tesi, cioè senza velleità di modificare i rapporti di forza, è quello della nostra organizzazione. È perfettamente inutile idolatrare il centralismo organico a parole e poi applicare i peggiori criteri bolscevizzanti della degenerata Internazionale. Sta a noi, e questo è possibile, cercare di comprendere a fondo che cosa significa centralismo organico, vedere che guasti ha provocato l'allontanarsene, evitare gli strumenti organizzativi che portano alle piramidi caporalesche e via dicendo. Le nostre tesi al proposito sono l'espressione di un'esperienza storica: ebbene, in quel campo nessuno ci impedisce di applicare ciò che è già acquisito; si tratta in fondo solo di capire e di copiare. Sola forza contraria è l'ideologia borghese che vivifica di continuo il personalismo, la concezione democratica profondamente radicata nell'uomo d'oggi, l'egoismo e lo sport della polemica inutile e infantile. In questo campo si può e si deve fare un po' di pulizia, con l'applicazione di volontà, quello che abbiamo chiamato un micro-rovesciamento della prassi.

Anche nel campo sindacale, in situazioni particolari, non è impossibile ottenere delle vittorie e a volte le abbiamo ottenute. Solo che qui i rapporti di forza si fanno sentire in tutta la loro potenza e oggi è praticamente impossibile che situazioni particolari si generalizzino. Guai a pensare che le eventuali esperienze locali possibili in questa situazione possano rappresentare un indizio di spostamento reale dei rapporti di forza. Questo succederà in modo catastrofico, ma nel frattempo avremo accumulato una nostra esperienza, trasmettendola ai militanti. Tra l'altro questo è il campo in cui si cade più facilmente nel velleitarismo inconcludente, a volte portando allo sbaraglio i proletari con lotte che non possono dare nessun risultato. Il rivoluzionario è anche quello che sa essere ben cosciente dei limiti in cui è costretto a muoversi e sfrutta ogni dettaglio per infrangerli, ma sapendo bene che cosa dovrà fare, e come, una volta che i limiti sono stati infranti.

Un tentativo che si può fare nell'applicazione di volontà senza cadere nel volontarismo, dato che coinvolge solo noi stessi e chi ci conosce, è quello di essere esenti dalla stupida prosopopea dei cultori di certezze assolute. Se è vero che siamo contro le moderne teorie indeterministiche o del dubbio, cerchiamo però di non pontificare mai, di non avventurarci in affermazioni drastiche senza aver verificato cento volte quello che diciamo. Crediamo di aver imparato bene la lezione di Amadeo: troppa gente prende il vizio degli intellettuali moderni, cioè "parla senza aver mai ascoltato e scrive senza mai aver letto". La storia non offre ai rivoluzionari autentici l'ineffabile comodità delle smentite giornalistiche, mentre gabbare il prossimo improvvisando con l'aria di rivelare verità universali è sport che ha raggiunto la massima espansione. Nessun secolo come questo ha affiancato a formidabili scoperte scientifiche sulla complessità della natura le formidabili supersemplificazioni dei presuntuosi. Eppure queste ultime hanno raggiunto il rango di indiscusse categorie morali. Tutti gli imbecilli sono sicuri di tutto ed eliminano con disprezzo dal loro orizzonte uno dei massimi risultati della scienza di questo ultimi 150 anni: la natura è complessa e, al suo interno, la complessità dei rapporti sociali è massima. È la problematicità del reale, come dicono i compagni tedeschi, che ci aiuta ad essere sicuri, non la supersemplificazione dei fenomeni.

Fortunatamente il mondo non è composto di soli imbecilli. Anzi, ci sono moltissimi elementi, proletari e non, che ricercano un qualcosa di diverso dal tran tran capitalistico senza trovarlo. Noi dovremmo trovarci sulla loro strada, è evidente. L'incontro presso di voi con il "compagno" [estero], come del resto altre occasioni, ci ha confermato questa necessità. Egli è lontanissimo dal marxismo, ma intanto è venuto ad ascoltare. Ha alle spalle un'esperienza terribile, dato che è rimasto bruciato [dal fascismo e dallo stalinismo], ma non può sfruttarla per avvicinarsi al marxismo. Non giungerà mai per via propria a riconoscere che [nel suo paese i "democratici" erano più fascisti dei fascisti]. Solo un ambiente rivoluzionario marxista potrebbe avere la forza sufficiente, nel tempo, per distruggere il suo radicato democratismo che si poggia sul nulla, dato che la sua esperienza diretta gli dovrebbe dimostrare il contrario di ciò che pensa. Noi dovremmo fornirgli quell'ambiente. E qui introduciamo un altro argomento essenziale che già la Sinistra anticipò quando non era ancora neppure corrente, nel 1912-13. Le spiegazioni in base alla "cultura marxista" non sono sufficienti a demolire le vecchie ideologie; esse vengono intaccate dall'esperienza pratica e demolite dall'ambiente anticapitalista. Se non si realizza quell'ambiente ferocemente antiborghese di cui parla Amadeo, l'ideologia dominante può risultare intaccata, ma mai demolita. E quindi il partito della rivoluzione si allontana nel tempo. Dipende da noi che si realizzi o meno l'ambiente anticapitalista?

In molti dei testi che formano il patrimonio su cui basiamo la nostra stessa esistenza, è ripetuto centinaia di volte che il partito rivoluzionario si forma e si sviluppa con un indissolubile insieme di condizioni oggettive e soggettive. Perciò il partito, prima di essere fattore di storia (rovesciamento della prassi), ne è un prodotto. Se accettiamo questo pilastro portante del marxismo, ne deriviamo immediatamente che oggi è molto difficile che il compagno [estero] trovi presso di noi un "ambiente" sufficientemente robusto dal punto di vista antiborghese da strapparlo alla sua democrazia e antifascismo. Se ci consideriamo in armonia con il partito storico, dobbiamo essere consapevoli che non può esservi armonia con nessuna parte di questa società, e che è molto difficile per i potenziali militanti accettare le nostre affermazioni, il nostro lavoro. Ciò comporta in modo del tutto naturale un nostro atteggiamento rigoroso: da una parte il rifiuto di qualsiasi metodo o posizione inerente la società borghese; dall'altra la comprensione del fatto che, siccome è difficile avvicinarsi al marxismo, occorre saper suscitare nell'interlocutore quel poco che la spinta materiale del comunismo può aver iniziato a mettere in fermento per conto suo. Questo lo possiamo fare unicamente con la quantità di informazione positiva che riusciamo a trasmettere non tanto a parole quanto con il nostro comportamento coerente ecc. Ciò rappresenta già un possibile ambiente nel significato cui si accennava.

Molti non capiscono quando diciamo che, dialetticamente, siamo nello stesso tempo chiusi e aperti. Non dovrebbe però essere così difficile capire che dobbiamo corazzarci e chiuderci a testuggine di fronte alle influenze borghesi su di noi e avere invece un'infinita pazienza nei confronti di chi non sopporta più il capitalismo senza essere però ancora giunto al marxismo. E se cercasse proprio qualcosa cui noi siamo già arrivati? A chi non ci conosce (e voi ci conoscete ancora poco) a volte possono sembrare strani i parametri con cui valutiamo i fatti, perché ciò è già il risultato di un ambiente di cui facciamo parte.

Forse con qualche esempio recente ci potremo spiegare meglio. Una volta un gruppo pubblicò una violenta critica nei nostri confronti. Altri, al nostro posto, avrebbero innescato una polemica piena di sacro furore per leso marxismo. Invece noi non rispondemmo affatto. Fummo ben contenti che ci venisse una critica da quella organizzazione, perché essere considerati fuori dal mondo rispetto all'unico parametro che essa ha, cioè sé stessa, era un grande complimento, un riconoscimento che siamo diversi da ogni cosa che continua a riferirsi al mondo borghese e alle sue categorie. Siamo precisamente degli estranei rispetto al mondo attuale e lo rivendichiamo.

Un'altra volta, ad un convegno, mentre parlava l'esponente di uno dei tanti gruppi più o meno sinistri, un compagno osservò che era un bene l'esistenza di tali gruppi, perché almeno per ora assorbivano tutto il kitsch, il cattivo gusto, la retorica e la potenzialità soporifera presente nella società ed evitavano così che queste piacevolezze venissero a rompere le scatole da noi.

Lo stesso vale per l'articoletto velenoso che ci è stato dedicato recentemente. Pensiamo che tutti i nostri lettori, alla lettura di quella miseria, non facciano altro che confrontare la nostra attività e i nostri risultati con l'attività e i risultati dei nostri critici; non possiamo che essere contenti quando ci si offre l'occasione di fare confronti. Avessimo mai voluto rispondere (non lo faremo di certo) avremmo dovuto ringraziare di cuore, perché è bello avere avversari senza armi, senza parole, senza niente.

E ancora: alla manifestazione per il lavoro del 22 scorso i compagni di Roma hanno distribuito un volantino contro il lavoro (che alleghiamo). Al telefono ci hanno detto che è andata molto bene, perché il volantino era diverso da tutto ciò che è stato distribuito, dato che tutti distribuivano materiale per il diritto al lavoro. Che c'è di meglio per dimostrare che siamo veramente fuori dal mondo di tutti? Non è questo un buon parametro per sondare la bussola marxista? Noi non dobbiamo certo andare a dire ciò che la "gente" vuole sentirsi dire. Lo sappiamo benissimo che la stragrande maggioranza di chi alla manifestazione ha letto il nostro volantino si è sentita urtata. I compagni di Roma hanno detto che molti volantini erano strappati e appallottolati per terra. Ma certamente non erano rammaricati, perché non avevano distribuito quel tipo di volantino ad una manifestazione governativa immaginandosi che D'Alema o Cofferati se lo leggessero rapiti dall'estasi. Il problema era (e sarà) quello di trovare un partecipante, anche uno solo su centomila, che alla lettura si ponga perlomeno qualche domanda, ci scriva, venga a trovarci e alla fine lavori con noi. Ma non uno qualsiasi, di quelli che hanno dei problemi irrisolvibili perché non sono ancora riusciti a superare il modo borghese di concepire il mondo e l'azione. Vogliamo uno che magari ponga mille domande ma che alla fine ci aiuti, partecipi organicamente al nostro lavoro.

Detto questo, dovrebbe essere evidente che noi non facciamo parte di un certo ambiente che consideriamo di un conformismo soffocante. Ciò non è certo successo per nostra volontà, per un nostro particolare sfizio di distinguerci. Noi rivendichiamo la Sinistra internazionalista storica come nostra radice e proprio per questo siamo automaticamente tagliati fuori dal "dibattito". Non abbiamo nessuna intenzione di richiamarci alla Sinistra storica con un mucchio di distinguo su cavilli ignobili, e la realizzazione di un ambiente rivoluzionario ferocemente anticapitalista non può avvenire sulla base di cavilli e di polemicuzze.

Voi siete giunti da poco e non potete ancora essere in sintonia con il lavoro generale del gruppo né lo pretendiamo. Abbiamo constatato con piacere che è possibile affrontare gli argomenti molto pacatamente e che avete una conoscenza approfondita della Sinistra e anche di ciò che abbiamo detto nelle lettere. Abbiamo anche notato, specie le prime volte, che c'era in voi una certa ansia di farvi accettare, forse per paura che vi fossero da parte nostra delle preclusioni per via della vostra provenienza: vogliamo rassicurarvi che non esiste niente di tutto questo, siamo perfettamente consapevoli che non si lasciano abitudini radicate in anni di militanza in poche settimane. Ora avete una grande responsabilità nel trasmettere agli altri compagni e agli eventuali nuovi contatti il senso del nostro lavoro. La realizzazione di un legame più stretto dal punto di vista del metodo generale ci permetterà di avere ulteriori risultati in una città importante come la vostra.

Aprile 1997

Fine

 

Lettere ai compagni