39. Il comunismo non è un'idea ma una forza materiale che anticipa il futuro (4)

Dal comunismo primitivo alla società umana

Tutti ricordano la definizione di militante che citammo più volte nel corso della nostra tribolata sopravvivenza: è militante comunista chi si strappa di dosso le caratteristiche segnate all'anagrafe di questa società e si confonde con tutto l'arco millenario che va dall'uomo-primate all'uomo veramente sociale. Tante volte abbiamo sottolineato quanto sia durato il "comunismo primitivo" in confronto ai pochi millenni di trapasso verso quello "superiore". Le virgolette sono d'obbligo perché la definizione di Marx vieterebbe di chiamare comunismo uno degli specifici stadi della società umana (14). Se datiamo la preistoria a partire dai primi manufatti costruiti e riprodotti secondo uno schema di conoscenza sociale memorizzata in modo differente dagli schemi animali, quelli che chiamiamo "istinti", abbiamo un tre milioni di anni contro appena diecimila di storia. Tre millenni di produzione primitiva contro appena dieci millenni di sviluppo a progressione geometrica, cioè di rivoluzione produttiva e sociale. Siamo adesso in quest'ultimo periodo, vale a dire che da meno di tre millenni siamo nella civiltà divisa in classi (15).

Ricordiamo che però per noi la preistoria comprende tutto l'arco, perché la vera storia umana deve ancora venire. Marx giovane, a proposito di questo percorso, dice che tutta la storia del mondo non è altro che la generazione dell'uomo mediante il suo lavoro, il divenire della natura per l'uomo stesso (16). Questo passo, con altre affermazioni scritte con impeto giovanile in appunti non destinati alla pubblicazione, è stato spesso tacciato di finalismo da avversari che vogliono fare i furbi e, da idealisti, danno dell'idealista a Marx. Stralciato dal significato di tutto il contesto il passo in sé esprime un concetto finalista. E allora? D'accordo, il materialismo storico è contro il finalismo metafisico, ma se noi intendiamo l'uomo come parte della natura ed elemento determinante della trasformazione di quest'ultime mediante il lavoro, la frase di Marx non è più tanto misteriosa. In effetti il progetto, la capacità di ottenere risultati voluti e previsti, il controllo dei processi, tutto ciò che abbiamo chiamato rovesciamento della prassi, rappresenta l'innesco di una sorta di finalismo rispetto agli svolgimenti futuri della storia. A volte le parole turbano, specie quando dal mondo in subbuglio piombano nelle accademie sonnolente e autoreferenti, ma ci sembra che qualsiasi ragazzino capisca benissimo che il passaggio attraverso un fiume è la causa finale per cui vengono deliberati fondi, viene eseguito un progetto e vengono gettate le arcate di un ponte. E quando il ponte è gettato, quando il traffico si farà intenso, nascerà un nuovo quartiere, che richiederà semafori, cavalcavia, organizzazione e lavoro sociale e così via, in un misto di finalismo (espressione di volontà, rovesciamento della prassi) e giungla capitalistica anarchica e a-finalista.

Tutt'altra cosa sarebbe dire, come qualcuno dice, che l'universo è così perché altrimenti l'uomo, causa finale nel disegno della natura o di Dio, non ci sarebbe potuto essere. Il finalismo, cioè l'insieme delle dottrine delle cause finali, quelle che spiegano un fatto in quanto mezzo di un fine, in filosofia è decisamente in disuso, dato che nell'epoca della scienza applicata c'è giustamente diffidenza verso concetti ambigui che, come abbiamo visto, possono essere utilizzati per dire una banalità (il ponte) o per formulare una pretenziosa proposizione (il disegno divino per l'uomo).

Superando la terminologia filosofica, opinabile e incerta, col concetto di rovesciamento della prassi noi delimitiamo il problema e riusciamo a discernere tra la metafisica e lo svolgersi dei processi materiali. Il rovesciamento della prassi è il presupposto necessario del comunismo da quando l'uomo scheggiò la prima pietra fino a quando incominciò a progettare alcuni aspetti del proprio futuro e soprattutto a farlo in modo sociale (17). Non si può parlare di comunismo nel mondo animale, neppure dove vi sia produzione e altissimo livello di organizzazione sociale (api, termiti, formiche), perché qui vi è solo ripetizione e conservazione, mentre il comunismo è il processo reale di demolizione del vecchio e trapasso verso sempre nuove conquiste.

Come è stato detto all'inizio, i comunisti non possono soltanto ipotizzare un futuro, che sarebbe ben poca cosa rispetto ai loro compiti, e nemmeno possono volere un futuro già modellato, che sarebbe troppo, ma vedono nel processo capitalistico una effettiva demolizione di rapporti esistenti e quindi una effettiva transizione verso nuovi rapporti. In questa transizione dalla preistoria alla storia, come spiega Marx, devono poter essere individuati degli elementi della società sviluppata, cioè deve essere individuato il nuovo "mondo della libertà" che lotta contro il vecchio "mondo della necessità". Se non fosse possibile fare questa operazione, diciamolo francamente, non ci resterebbe che chiudere baracca e andare a farci i fatti nostri, perché avrebbero ragione quelli che parlano di morte del comunismo, anzi, diciamo che il comunismo si sarebbe rivelato una fantasia in mezzo a tante altre.

Invece no. Il comunismo esiste. Non in qualche nascosto recesso della società; non in qualche oculatissimo meccanismo di distribuzione egualitaria; non in qualche rappresentazione formale di future potenzialità: esiste nel motore stesso di tutta la società capitalistica, il mondo della produzione, quello che ha portato ai più alti vertici il rovesciamento della prassi trasformando la natura in arte, nel senso di finalità progettata, organizzata, costruita secondo una conoscenza sociale registrata in una rete di relazioni tra uomini, memorizzata e continuamente elaborata per ancora più progredite realizzazioni future.

Il capitalismo non se ne fa più niente delle potenzialità sviluppate durante l'affermarsi del suo dominio. Gira a vuoto, si ripete. Realizza meravigliose performances tecnologiche e non riesce neppure ad utilizzarle, mentre si avvita su sé stesso dal punto di vista sociale non riuscendo neppure a raggiungere il più stupido degli obiettivi: non solo quello di offrire un decente livello di consumo ai sei miliardi di uomini che nonostante tutto lo tengono in piedi, ma neppure quello di sfruttarli, perché deve mantenerli (o ammazzarli) per il pericolo di una rivoluzione. Neppure nella fantascienza il capitalismo riesce a produrre una visione ottimistica del suo futuro e sforna catastrofi, claustrofobie o ultrafascismi proiettando in là negli anni semplicemente i suoi risultati di adesso.

Marx dice che il capitalismo, potenzialmente, non esiste già più (18). Quando il Capitale esiste non più per la soddisfazione delle esigenze del suo possessore, cioè del capitalista, il capitalismo non ha più senso. Engels ribadisce questo fatto ed evidenzia come nell'industria più moderna il capitalista sia ormai espropriato delle sue funzioni e sostituito da funzionari stipendiati. Ma il capitalista è la cellula di una classe, quindi se il capitalista è un nonsenso, anche l'intera classe borghese è un nonsenso storico. Ciò quadra perfettamente con la tesi della Sinistra, stilata a proposito della Russia ma estesa a tutto il mondo borghese, di un capitalismo senza capitalisti. Il complemento di ciò non può che essere l'esistenza di capitalisti senza capitali. Un grande appaltatore che lavora con impianti e capitale fisso altrui è in questa situazione, ma anche il gestore di un fondo di investimento maneggia capitali immensi rispetto al suo patrimonio personale.

Inoltre, continuando sulla falsariga della Sinistra, osserviamo che, nella misura in cui si dimostra che il Capitale può fare a meno degli operai (enorme aumento della sovrappopolazione relativa), si dimostra pure che gli operai possono fare a meno del Capitale: la liberazione dal lavoro obbligato in questa società è una tragedia, ma nello stesso tempo, nei confronti di una società senza capitale, è un fatto rivoluzionario e positivo. E nella futura società sarà un obiettivo perseguito con tenacia.

Tutto ciò ognuno lo può trovare in Marx e nei nostri classici, non c'è bisogno di inventarsi cavalli di battaglia per distinguere gruppi e partitini. Tutto ciò è tratto dal mondo reale e non da modelli ideali; richiede di essere trattato in modo del tutto realistico ed è per questo che la prassi politica dei comunisti non è fatta per maneggiare idee e neppure parole ma strumenti, libri, giornali, organismi immediati, strutture. Il partito formale non è un'organizzazione di "politici", è un'officina, in certi momenti una divisione corazzata. Ma allora, se questa è la concezione del comunismo presente, questa strana entità che non può morire, non è evidente che anche i suoi strumenti devono essere altrettanto visibili, chiari, non oggetto di speculazioni in tesi da dibattere?

Massimo di socializzazione

Non ci sono più dubbi: l'uomo si è evoluto a partire dalle mani e dalle gambe e il cervello è arrivato buon ultimo, come ha sempre affermato il marxismo. Era una tesi formulata da alcuni scienziati sulla base di indizi e deduzioni ingegnose e stentava ad essere accettata per via dell'idealismo che dà preminenza al cervello in quanto sede della mente, ma ora è provata, come si dice, per via sperimentale. Da quando degli ominidi si sono trovate anche ossa del corpo e non solo del cranio, si sa che erano già fatti come noi, in tutto e per tutto tranne il cervello.

Una volta che gambe e mani hanno permesso al cervello di servire a qualcosa, si è sviluppata non solo la materia grigia, ma anche il linguaggio, la comunicazione, l'ambiente esterno all'organismo biologico, la produzione, il movimento degli oggetti, insomma, la società. L'evoluzione della specie Homo è uscita dal suo organismo animale; la sua caratteristica peculiare non è più dentro i suoi individui in carne ed ossa ma fuori, nella loro organizzazione sociale, la cui base è la produzione. Questo e nient'altro che questo da Marx ed Engels è chiamato comunismo.

Tutto ciò è stato, e il comunismo deve poter agire ancora. Mentre l'uomo sviluppava la capacità di lavorare sassi passando dal primitivo chopper alla sofisticata amigdala, si evolveva anche il suo organismo biologico, come ben sottolinea Engels. Oggi non più. Il rovesciamento della prassi non consiste nel fabbricare sedie di plastica o astronavi di nuovo tipo con una organizzazione del lavoro migliore e più pianificata. Nel momento in cui l'evoluzione tecnica, organizzativa, produttiva, sociale dell'uomo procede a ritmi immensamente più veloci di quanto non faccia quella biologica, l'evoluzione della specie avviene all'esterno dei corpi che la costituiscono. Quindi il salto necessario non è nella produzione ma nel contesto in cui questa avviene. L'utopia è fallita storicamente perché risiede nel cervello: il comunismo ha già vinto perché risiede all'esterno, nella produzione.

Questo mondo esterno all'uomo è già rivoluzionato. E siccome "esterno" è un modo di dire, dato che in realtà è un tutt'uno con l'uomo-animale, anche questa volta il cervello di quest'ultimo dovrà seguire. Con una differenza sostanziale, che è questa: anche il cervello ha incominciato ad uscire dalla scatola cranica dei singoli, a presiedere le attività produttive ed organizzative, a diventare cervello sociale. La fine della preistoria è contrassegnata dal faticoso viaggio che il cervello sociale sta compiendo per uscire dall'individuo e raggiungere la potenza produttiva sociale già rivoluzionata. Su questa strada trova ostacoli a non finire dovuti alla persistenza del vecchio modo di produzione, cui corrispondono le vecchie ideologie dominanti. Come saranno spazzati via gli ostacoli? Con la saldatura tra il cervello sociale e l'unica classe che abbia potenzialità rivoluzionarie, cioè l'unica forza della società che non abbia nulla da perdere ma che abbia infiniti vantaggi nel farla finita con questo modo di produzione ormai putrefatto. Questa è la natura, l'origine materiale e la funzione del partito comunista.

Come dice Marx nel Manifesto, i comunisti non si distinguono dal resto del movimento proletario, ci sono dentro e lo anticipano. Ma, potrebbe obiettare qualcuno, e quando il movimento non c'è? Questa sarebbe una concezione non materialista del termine "movimento". Il movimento, dice Engels, è il modo di essere della natura. Non esiste l'assenza di movimento, neppure nei rapporti tra le classi. Anzi, è proprio in questo campo che l'energia delle molecole in movimento è massima. Si può forse credere che oggi non ci sia lotta di classe? E che cosa è allora lo sfruttamento superintensivo della forza-lavoro, messa in condizione di non nuocere, se non lotta di classe? Che cos'è, per converso, il mantenimento passivo di miliardi di uomini a non produrre (proprio perché i primi producono ad altissimo rendimento) se non lotta di classe? (19)

Il massimo raggiunto di socializzazione del lavoro e di sviluppo della forza produttiva sociale sta incominciando ad avere effetti sul pensiero anche dei componenti della borghesia. Non ci sono ancora i transfughi di classe, che sarebbe segno di rivoluzione imminente, ma vi è già più che visibile una generalizzata capitolazione ideologica di molti borghesi di fronte al marxismo. Su questo punto insistiamo parecchio nei nostri lavori per la semplice ragione che era ritenuto importantissimo dalla nostra corrente.

Questo non vuol dire che stanno nascendo come i funghi i militanti della rivoluzione. Per niente: tutti coloro che incominciano a dire cose che prima dicevano solo i marxisti se ne stanno tranquillamente al loro posto e pensano come tutti gli altri che il comunismo è morto, alla loro famiglia, alla loro carriera ecc. Vogliamo semplicemente sottolineare che non è vero che tutto sia fermo, che le classi siano in depressione clinica e che l'apatia generale possa essere ragione di pessimismo per i comunisti anche se per il momento si trovano in quattro gatti.

I comunisti di domani saranno scelti dal comunismo e dalla prossima rivoluzione come sono stati a loro tempo scelti i militi delle rivoluzioni precedenti. C'è da sperare che nessuno confonda un processo materiale come quello che abbiamo cercato di descrivere con una specie di pentecoste comunista in cui lo spirito santo di Marx scende come una fiammella sul cranio di chi ha deciso di essere comunista. A nessuno è dato di scegliere il campo e la divisa in cui sarà milite nella rivoluzione prossima ventura.

I dinosauri erano già in estinzione quando sembra sia caduto l'asteroide che diede loro il colpo di grazia. Ma la borghesia, nella sua solita ricerca della causa prima, aveva bisogno di un motivo celeste, per antica abitudine, e ha assolutizzato l'asteroide incolpandolo del misfatto. Il dinosauro capitalistico non ha bisogno di una causa prima pensata e creata da qualcuno per estinguersi. Il capitalismo non sarà ammazzato da una rivoluzione pensante nel senso degli utopisti, ma dalle sue stesse enormi realizzazioni, dinosauri dissipativi, a basso rendimento sociale. E' inevitabile che ci siano già molti borghesi che ne parlano, anche se ci sono ancora troppo pochi comunisti che incominciano a leggere Marx alla luce di ciò che sta succedendo: adesso, non nel 1920. Il patrimonio della Sinistra va assimilato come prodotto e anticipazione del capitalismo ultimo, non come uno dei prodotti dell'Internazionale degenerata e delle sue opposizioni, defunte l'una e le altre. E saremmo noi gli attendisti!

Capitalismo che si autosopprime

Estendiamo il discorso di Engels sulla colossale sproporzione fra i fenomeni che accadono incontrollati nell'ambito della natura, uomo capitalistico incluso, e quelli che sono il prodotto di una volontà. Un contadino zappa la terra e sa che otterrà un campo di patate, un raccolto ecc. Un operaio applica la sua forza-lavoro e sa che alla fine del ciclo che coinvolge tanti come lui, sarà prodotta un'automobile. Un ingegnere sa che alla fine dei suoi calcoli, dei suoi disegni e dell'impianto logistico, nascerà un ponte. Un economista sa che patate-cibo, automobili-merce e ponti-infrastruttura fanno parte di un sistema. Un governo borghese sa che, sulla base dei dati e dei modelli elaborati dall'economista, potrà fare ben poco per governare l'economia, cioè prevedere gli andamenti futuri e prendere dei provvedimenti anticipati. Del capitalista non parliamo nemmeno perché, come abbiamo visto, è una figura che non ha più funzioni pratiche.

Abbiamo detto che il governo può fare ben poco, ma poco non vuol dire niente. Ora, sarebbe ben strano che nell'evoluzione della specie umana l'individuo riuscisse a sviluppare il proprio organismo fino ai primi indizi di rovesciamento della prassi (il sasso scheggiato), di qui ad ulteriori passi fino alle massime manifestazioni sociali, e poi, improvvisamente, queste manifestazioni sociali non esprimessero più in nessun modo una capacità di controllo su sé stesse e sulla natura. Se è vero che la società capitalistica in generale non è in grado di esprimere un controllo sui suoi meccanismi (altrimenti non sarebbe una società anarchica, contraddittoria e quindi effimera), non è vero che l'uomo abbia smesso di rovesciare la prassi.

Noi vediamo che nella storia umana si parte da una dipendenza totale dell'uomo, e anche delle organizzazioni primordiali delle società umane, dalla natura, e si arriva, attraverso la scaletta di Engels: famiglia, proprietà privata, Stato, ad organizzazioni più complesse che intervengono non solo sulla natura (costruzione di piramidi, canali, muraglie cinesi, grattacieli, treni, banche, ecc.), ma anche sull’organizzazione della produzione e riproduzione sociale. La rete di rapporti produttivi, distributivi e "assistenziali" del mondo moderno, non è solo un "intreccio di interessi" ma è soprattutto, come sottolinea Lenin, una immensa, generalizzata manifestazione del lavoro socializzato, e "i rapporti di economia privata e di proprietà privata formano un involucro non più corrispondente al contenuto" (20).

Che cos'è il contenuto? E' la società nuova che spinge con forza esplosiva, dicono tutti i marxisti. E questa forza, dato che per ora non si esprime attraverso uno scontro decisivo tra le classi, si dovrà pure esprimere con qualche altro fenomeno visibile. Ad un certo punto, nella storia dell'economia borghese scoppia, quasi contemporaneamente, un fenomeno mondiale. In Italia il potere borghese si dà la forma fascista; in Germania quella nazista; in America c'è il New Deal; in Russia trionfa lo stalinismo; anche in paesi come il Giappone vengono adottate misure di totalitarismo economico. Il fatto fu proprio questo: al di là delle conseguenze (o premesse) politiche da cui prendeva nomi diversi, il dato comune del mondo fra le due guerre fu il totalitarismo economico, il controllo statale dell'economia. Il "fascismo", come abbiamo dimostrato e come riconosce oggi persino l'Economist chiamandolo in altro modo, è stato sconfitto militarmente ma ha vinto politicamente. Il lamento dell'augusto periodico è che il gran dibattito sul liberismo si traduce in proposte di intervento statale per ottenerlo. Oggi dunque l'economia mondiale subisce un pesante intervento da parte dei grandi stati capitalistici nel tentativo di tenerla sotto controllo.

Ciò non significa che l'economia è compresa e domata, prevista e pianificata, ma che nessuno più si può permettere di lasciare in mano privata una produzione socializzata a scala mondiale. Nell'epoca cui facevamo cenno, dopo che i fatti si furono ben consolidati, le scuole economiche si divisero: dal ceppo liberista nacque l'economia keynesiana. Questa era altrettanto liberista ma differiva per un particolare interessante: il libero mercato si sarebbe potuto salvare soltanto aiutandolo a non suicidarsi. Keynes non predicò l'intervento dispotico dello Stato, come ogni tanto si sente dire, ma prese atto che l'economia capitalistica era già cambiata sotto i suoi occhi e che, se non la si fosse tenuta perennemente in camera di rianimazione, sarebbe morta. Il fatto è che gli Stati, presi nella crisi economica generale, non conoscevano altro mezzo che l'intervento dispotico e quindi il cosiddetto keynesismo dovette barcamenarsi senza essere troppo preciso in fatto di totalitarismo economico.

Ci troviamo di fronte a un paradosso ben curioso: per conservare il capitalismo liberista, occorre l'intervento totalitario dello Stato. Del resto già dalla fine del secolo scorso, nei maggiori paesi, era divenuto necessario intervenire con leggi antimonopolistiche per garantire la concorrenza. E le leggi le fa lo Stato. Ma c'è una scalata in questo intervento. In un primo tempo si tratta di garantire la concorrenza; poi si passa all'intervento statale per sostenere l'economia; man mano che vengono presi provvedimenti del genere il cerchio s'allarga e sono più Stati che sentono il bisogno di concordare un controllo internazionale (lo stesso Keynes fu uno dei fautori degli accordi di Bretton Woods, antesignani del Fondo Monetario Internazionale); gli organismi sovranazionali si moltiplicano e tutto diventa oggetto di regolamentazione, la produzione di materie prime e di merci, il commercio, la finanza, persino l'emissione di moneta e il suo valore di scambio da parte degli Stati "sovrani"; mentre in alcune aree del mondo, comprendenti i paesi più sviluppati, incomincia ad essere normale ciò che finora si faceva solo all'interno dei vari paesi: la ripartizione, controllata dall'alto, del plusvalore.

Riprendiamo Marx: 1) con la concorrenza i capitalisti espropriano altri capitalisti, ed è la concentrazione; 2) con il capitale azionario i capitalisti sono espropriati dal Capitale e non servono più a nulla, il capitalismo potenzialmente incomincia a non esistere; 3) con l'estendersi della potenza anonima del Capitale si passa dalla concentrazione (accumulazione quantitativa, il prodotto totale aumenta sempre) alla centralizzazione (accumulazione qualitativa, aumenta il prodotto delle holding ma non è detto che il prodotto totale aumenti). E proviamo a continuare la serie di Marx secondo le sue indicazioni: 4) lo Stato si fa imprenditore (fascismo che ha perso la guerra); 5) lo Stato dismette le sue imprese ma controlla ancor più l'economia (manovre economiche per obbligare i capitalisti a seguire una politica generale, fascismo che ha vinto la guerra); 6) le manovre economiche diventano prassi internazionale consueta (il FMI e la Banca Mondiale stabiliscono il controllo totalitario dell'economia di molti paesi contemporaneamente e perennemente); 7) il Capitale impersonale e a-statale domina incontrastato su tutto il mondo e su tutte le politiche (la massa dei capitali in cerca di valorizzazione è tale da obbligare ogni paese, anche il più potente, a rinunciare ad una politica autonoma ma a stabilire di volta in volta politiche adatte a ingraziarsi i "mercati").

La borghesia non serve più a nulla. I capitali, a differenza dei capitalisti, non hanno mai avuto patria, ma adesso neanche più le patrie hanno capitali e ogni politica borghese autonoma è distrutta. Il Capitale domina incontrastato, impersonale come un'astrazione, e tutti gli si devono inchinare. Ha eliminato molti dei suoi aspetti del passato e anche nei paesi più arretrati si presenta con la sua ferocia finanziaria, senza aspettare accumulazioni che non sono più possibili. Ha semplificato il mondo, non è vero che l'ha complicato. E l'ha reso meno capitalistico.

Ma come, al massimo delle potenzialità del capitalismo ci venite a raccontare che c'è meno capitalismo? Sappiamo che non tutti sono in grado di digerire questa affermazione, ma queste cose si trovano in Marx, in Engels, in Lenin, in Bordiga. Quando quest'ultimo affronta il problema zittisce tutti con un'affermazione totalitaria e inappellabile: "E' metodo metafisico porre la questione dello stare, alternativamente, nel campo eletto o in quello reietto [c'è capitalismo o socialismo?]. E' metodo dialettico porre la questione dell'andare, ossia della direzione del movimento" (21). E cita Engels:

"La borghesia non poteva trasformare i primi limitati mezzi di produzione in poderose forze produttive senza trasformarli da mezzi di produzione dell'individuo in mezzi di produzione sociale e atti ad essere usati da una comunità di uomini [...] La proprietà da parte dello Stato delle forze produttive non è la soluzione del conflitto, ma essa racchiude il mezzo formale, il manubrio della soluzione. Questa soluzione può consistere soltanto in ciò: che la natura sociale delle forze produttive viene effettivamente riconosciuta, e quindi il modo di produzione e di distribuzione è messo all'unisono col carattere sociale del mezzo di produzione [...] Le leggi economiche agiscono come quelle naturali. Una volta conosciute e comprese, diverranno da indemoniate dominatrici nostre, serve volonterose" (22).

Soffermiamoci un momento sulla frase "il modo di produzione e di distribuzione è messo all'unisono col carattere sociale del mezzo di produzione", tenendo presente che abbiamo ricavato da Marx l'esistenza di un mondo della produzione esente di per sé dagli scambi in valore e quindi dai caratteri capitalistici. Ora noi affermiamo che la massima socializzazione del lavoro, quel contenuto (comunismo) cui va stretto l'involucro (modo di produzione attuale, Lenin), mette appunto all'unisono il modo di produzione con il luogo della produzione, cioè con i caratteri comunistici presenti nella società così com'è (Marx). In altre parole, vediamo che il contenuto comunistico rappresentato dal divenire verso la società nuova, contenuto visibile anche se per ora confinato nel mondo della produzione, proietta anche sulla struttura sociale capitalistica alcune delle sue caratteristiche e, paradosso gigante, sono i capitalisti stessi, i più moderni, che pretendono dai politici una gestione sociale sul modello raziocinante della fabbrica e della produzione.

Ci fermiamo qui perché non possiamo introdurre troppi argomenti. Possiamo però anticipare che stiamo lavorando intorno a questi temi e che tale lavoro è finalizzato alla pubblicazione di uno dei nostri libri, anche se è troppo presto per dire quando uscirà.

Capire che cos'è il partito

Abbiamo visto che il rovesciamento della prassi è possibile solo attraverso degli strumenti, materiali, informativi, organizzativi, che l'uomo si dà nel corso della sua storia. Raccogliendo bacche e tuberi nei boschi o nelle savane l'uomo non rovesciava nessuna prassi, mentre cacciando in gruppo con lance e propulsori o, meglio, seminando, allevando e cucinando, sì. Con quegli strumenti l'umanità è riuscita effettivamente ad introdurre il cambiamento voluto a fianco di quello spontaneo e incontrollato della natura. Ma nelle società che l'uomo finora si è dato - ed è il gradino più alto possibile al loro interno - sussiste la contraddizione "colossale", come dice Engels: la produzione si effettua secondo un piano mentre la vita sociale continua ad essere anarchica; il processo produttivo è controllato, mentre l'ambiente in cui avviene è lasciato a sé stesso. E' ora di giungere alla consapevolezza dell'intero processo di riproduzione, perché le condizioni sono mature da tempo.

Abbiamo visto con Engels e con gli esempi sull'economia attuale, che lo Stato è lo strumento ultimo e più complesso che l'umanità si sia mai dato per interferire con l'andamento della natura. Non riesce ad essere strumento di controllo del processo riproduttivo della specie, ma certamente incomincia a sintonizzare la struttura economico-sociale, che è capitalistica e anarchica, con la produzione, che è ormai completamente socializzata e controllata. Nessuna industria privata avrebbe potuto spedire un equipaggio sulla Luna per niente (23), mobilitando mezzo milione di uomini, organizzando le loro funzioni, concentrando la loro attività sull'esito della missione. Come abbiamo detto nel nostro lavoro sulla questione spaziale, a noi non importa nulla del fracasso pubblicitario a favore del capitalismo lanciato verso la "conquista del cosmo", mentre dobbiamo fare una vera apologia del grado di socializzazione della produzione che ha permesso quel risultato. Questo è un caso di sintonia fra la produzione, cioè la socializzazione massima del lavoro, e lo Stato, cioè il tentativo di portare anche all'esterno della produzione tale socializzazione. Tutto ciò che va più o meno coerentemente sotto il nome di "keynesismo" non è altro che lo sforzo massimo cui può giungere lo Stato per avvicinarsi al controllo della riproduzione sociale.

Ma lo Stato non può raggiungere tale risultato fino in fondo, tant'è vero che il keynesismo non prevede eventi futuri, tenta solo di correggere storture passate. Keynes scrive il suo trattato molti anni dopo che il fascismo aveva già incominciato a intervenire nell'economia, e soprattutto dopo che la grande crisi aveva spazzato tutte le altre possibilità di soluzione. Lo stato borghese non può risolvere le contraddizioni del capitalismo, il che vorrebbe dire superarlo: essendo strumento di classe, di dominio, deve limitarsi a svolgere il suo compito. Inoltre lo stato borghese, armatore di flotte e promotore di manifatture, perciò elemento attivo del capitalismo nascente, è ormai elemento passivo al servizio del Capitale impersonale. Lo stato borghese è arrivato al capolinea e d'altronde quello proletario si estinguerà non appena avrà svolto il suo compito transitorio. Un altro organismo si deve far strada per risolvere il problema del rovesciamento della prassi, ben altra intelligenza collettiva dovrà rappresentare il gigantesco salto nella storia: il partito rivoluzionario del proletariato.

Per questo la Sinistra insistette molto per il superamento del concetto di partito come semplice organizzazione di comunisti. Il partito è di più, ed è bene che i vecchi partiti formali siano stati spazzati via e che non se ne possano formare altri sulla base delle vecchie concezioni. E forse non è un caso che sia totalmente negata la possibilità di rimettere in piedi ciò che oggi non sarebbero che fronzoli: la rivoluzione non ne sente affatto la mancanza.

Ma che cos’è questo benedetto partito? E' quello sorto all'inizio del movimento operaio, quello aborrito per principio dagli anarchici e adottato senza tante storie dai borghesi? Il partito non è un'entità mistica, il partito è uno strumento che anticipa quelli che saranno i suoi compiti tecnici dopo la rivoluzione (Bordiga, 1921), come l'ingegnere che, prima di costruire una casa, ripulisce e spiana il terreno utilizzando gli strumenti adatti. In un certo senso la nostra concezione del partito è a-politica, se per politica si intende quella corrente. Per questo nella concezione della Sinistra scompaiono definitivamente dal partito la democrazia, la gerarchia interna, le carriere, l'individualismo, la divisione del lavoro, le differenze di mestiere o, peggio, di classe: nel partito la conta dei numeri e la coercizione sono sostituite dalla "razionalità tecnica" (1924). Ed ecco una raffica di citazioni prese da testi del dopoguerra:

"Il partito è l'anticipato depositario delle sicure consapevolezze di una società ancora da venire e successiva anche alla vittoria politica del proletariato" (1954). "In termini esatti la coscienza proletaria non vi sarà mai. Vi è la dottrina, la conoscenza comunista, e questo nel partito del proletariato, non nella classe. Tale possesso della dottrina rivoluzionaria fa del partito il serbatoio della posizione del futuro uomo sociale comunista. In questo senso in esso vive anticipata la società futura senza classi e senza scambio" (1955). "Negli organismi che copiano e serbano l'impronta della fisiologia della società attuale, non può altro che cristallizzarsi la ripetizione e la salvezza di questa" (1957). "Il partito comunista è una forza che attinge il suo potenziale da una umanità non ancora nata e la cui vita sarà soltanto vita di collettività e di specie. Definiamo il partito proiezione nell'oggi dell'Uomo-società di domani" (1958). "Che nel partito si possa tendere a dar vita ad un ambiente ferocemente antiborghese, che anticipi largamente i caratteri della società comunista, è una antica enunciazione, ad esempio dei giovani comunisti italiani fin dal 1912 " (1965). (24)

L'anticipazione di cui si parla non è una magia ma una necessità. La critica della democrazia, per esempio, non è una "posizione politica" ma la proiezione dell'assetto razionale della società futura nel partito di oggi. La democrazia è un'ipotesi filosofica utile alla borghesia ma non fa parte del mondo razionale utile all'umanità. Sono uguali tutti i granelli di sabbia in un mucchio, o, se vogliamo spingerci al vivente, i polipetti di una barriera corallina. Se è vero che questi ultimi costruiscono montagne, è anche vero che nella loro uguaglianza non sono liberi di fare quel che vogliono e non votano. Soprattutto non sono molto portati al pensiero speculativo.

La società umana è composta da individui differenziati come le cellule di un organismo complesso e né la democrazia né lo Stato possono rappresentarne il movimento verso il futuro. Il nostro concetto di partito non scaturisce quindi da "scelte" politiche, od estetiche od altro, ma da una necessità insita nella natura degli oggetti in questione. Allora si vede che gli strumenti della rivoluzione non sono più opinabili come interpretazioni filosofiche, ma sono dati, e i marxisti li prendono così come sono, perché non vogliono discutere sul mondo ma cambiarlo.

Ecco perché non possiamo concedere nulla a nessuno, perché non possiamo mai "aprire dibattiti" con i nostri interlocutori. Ci vorrebbe. Si guardi a come si evolve storicamente la lotta e ci si dica se la questione del partito è una questione da dibattito: ai tempi di Marx ed Engels gli avversari erano gli Herzen, i Proudhon, i Dühring, i Bakunin, esponenti di gruppi che hanno inciso profondamente sulla natura dell'opportunismo, ma che non avevano influenza sul mondo. Lenin e la sinistra internazionale hanno già dovuto lottare contro una socialdemocrazia che snaturava l'intero movimento operaio mondiale. La nostra corrente ha avuto come avversario lo stalinismo, che, assunta la veste statale, ha avuto più di tutti voce in capitolo a proposito di rovesciamento della prassi. La rivoluzione comunista è stata annichilita ed ha avuto luogo una grandiosa e sanguinosa rivoluzione borghese che ha coinvolto non solo un'area sterminata, estendendosi fino alla Cina, ma anche il movimento comunista in tutti i paesi occidentali, piegandolo alle parole d'ordine borghesi del XVIII secolo: la democrazia, la libertà, la giustizia, l'uguaglianza e la fraternità.

C'è qualche individuo, qualche gruppo che abbia ripreso la concezione marxista del divenire storico attraverso il potenziarsi del rovesciamento della prassi fino alla dominazione reale e non formale del Capitale, fino alla produzione completamente socializzata, fino allo stato fascista come progresso rispetto alla forma precedente? C'è qualcuno che veda nella massima socializzazione del lavoro l'anticipazione reale del comunismo come la vedeva Marx? E se c'è, ne deriva una concezione di partito coerente? Noi cerchiamo questo qualcuno, non perché siamo ansiosi di stare in compagnia, ma perché siamo sicuri che prima o poi le forze materiali di questa società lo obbligheranno a riprendere Marx sulle grandi questioni del divenire capitalistico - e quindi comunistico.

Il comunismo come critica del massimo raggiunto

Engels scrisse che lui e Marx avevano fondato la Nuova Gazzetta Renana non per criticare i borghesi ma per criticare coloro che, tra i comunisti, avevano raggiunto il livello più alto senza riuscire ad abbandonare completamente le attitudini relative all'ideologia dominante e al mondo borghese (25).

Oggi, esclusa la critica alla borghesia, sarebbe difficile accingersi a criticare... chi? Il PDS? Rifondazione? Tony Blair? Abbiamo qualche problema.

Lenin sosteneva che l'Iskra doveva fare una campagna di denunce contro gli effetti dell'autocrazia zarista. Oggi se dovessimo fare una cosa del genere non dovremmo far altro che copiare le notizie d'agenzia, cosa che fanno già tutte le televisioni e tutti i giornali.

Marx faceva notare che la lotta sindacale non è rivoluzionaria di per sé, dato che, senza l'organizzazione permanente degli operai, essa rappresenta un fattore di equilibrio, ma sostiene che la lotta sindacale generalizzata per obiettivi univoci è lotta di classe e ogni lotta di classe è lotta politica. Oggi è ben difficile immaginare l'alternativa alla funzione equilibratrice senza una rottura totale e rivoluzionaria dello stato di cose esistente.

Lo stesso Marx, anni dopo la prima uscita del Manifesto, scrive in una prefazione che alcune parti sono superate, come per esempio il programma immediato. Eppure nessuno penserebbe per ciò che Marx abbia "cambiato idea" rispetto alla teoria originaria.

Tutto ciò per dire che il processo capitalistico elimina di per sé alcuni dei livelli precedentemente esposti alla critica marxista e obbliga i comunisti ad un atteggiamento coerente con la "rivoluzione in permanenza". Se la formazione della classe in partito e la stessa formazione del partito formale è un processo organico, dobbiamo riconoscere che questo avviene all'interno di un altro processo organico che è quello del metabolismo dell'intera società che cresce verso il comunismo in attesa che la levatrice della storia ecc. ecc. Se dunque l'intero percorso del potenziamento degli elementi di prassi rovesciata nella società - quello che abbiamo chiamato il divenire del comunismo - è un processo organico, è chiaro che dobbiamo aspettarci vita e morte di cellule, consumo di energia tramite la metabolizzazione di carburanti e comburenti, espulsione di scorie e così via.

Il paragone organico ci è utile non solo per la critica alle concezioni meccanicistiche della rivoluzione, ma anche per ricordare che nell'organismo sociale intento al suo metabolismo con cellule che si ricambiano in continuazione, viene tramandato, di passaggio in passaggio, un programma di specie, iscritto nella struttura molecolare delle cellule. Se il DNA della specie umana è il comunismo, alla fine, passata questa breve malattia della crescita, l'umanità adulta sarà comunista. Perciò il futuro partito non sarà l'organizzazione di x o di y, o di tutti gli xy vissuti in un certo periodo, bensì la memoria della struttura molecolare che "va oltre il tempo e lo spazio" come dice Amadeo.

La critica marxista non ha dunque più obiettivi che non siano già stati presi in considerazione in passato. Il fatto è che molti di quelli erano importanti e non lo sono più. Che senso avrebbe oggi dedicarsi alla critica della filosofia, tedesca o di qualunque altra parte del mondo? Oggi ha senso la critica alla filosofia solo in quanto la filosofia (morta e sepolta con la vittoria della scienza e con la comparsa del "marxismo") sopravvive nel metodo speculativo e chiacchierone della politica corrente, che non si basa quasi mai su fatti materiali e fondamenti teorici ma su interpretazioni della realtà, in fondo su opinioni.

Perciò il lavoro dei comunisti è sempre meno quello della "denuncia" e dell'indagine sui meccanismi sociali, questi ultimi già rivelati definitivamente in passato, ma quello della verifica sul come tali meccanismi agiscono, sul come il comunismo lavora, anche rispetto al comportamento delle classi, specialmente quello della classe potenzialmente rivoluzionaria. Nell'epoca in cui il capitalismo è preso di mira persino dai capitalisti, compito dei militanti rivoluzionari non è più quello di gridare "abbasso il capitalismo", ma "viva il comunismo". Solo che per farlo, con i tempi che corrono, bisogna prima di tutto sapere cos'è, in modo che sia agevole dimostrare la nostra non-utopia, cioè che il comunismo esiste, è solo da liberare e non da "creare".

Già nel 1921 la Sinistra, pur sostenendo che era ancora possibile un'avanzata rivoluzionaria, individuava nell’involuzione dell’Internazionale la fine di un'epoca. Nel 1922, con la discussione sulla tattica, ve ne fu la certezza, comprovata subito dopo dalla strana teoria della bolscevizzazione dei partiti aderenti. Negli anni successivi al 1926 fu chiaro alla Sinistra che la grande rivoluzione proletaria russa si stava trasformando in una rivoluzione capitalistica borghese. Non ci fu indignazione morale di fronte al "tradimento" e neppure ci fu la corsa a improbabili rimedi (nuove coalizioni), come suggeriva una opposizione antistalinista alquanto disomogenea. Si trattava di conservare la linea del futuro della rivoluzione proletaria sconfitta. Non fu possibile in quegli anni, naturalmente. Naturalmente perché sapevamo come corrente che la rivoluzione non avrebbe vinto con un partito come l'Internazionale federativa e "bolscevizzata" a colpi di disciplina formale. Per vincere, come dice Marx, la rivoluzione avrebbe dovuto far sorgere una "reazione serrata", contro la quale solo un partito veramente rivoluzionario avrebbe potuto vincere, e non un suo qualunque surrogato.

Superiorità della concezione organica

La rivoluzione non si accontenta di nulla di meno, per questo è così difficile e sembra così lontana la formazione del partito. Ma noi sappiamo già quali caratteristiche esso dovrà avere, perché sono la negazione di quelle che aveva il vecchio partito che fallì negli Anni Venti. La superiorità della concezione organica di partito su quella democratica è confermata dalle necessità reali della prossima rivoluzione: nessuna forma organizzativa conosciuta può rispondere ad esse. Il nostro stesso linguaggio politico è inadeguato per esprimere tali necessità, perché è stato forgiato da rivoluzioni passate e molto addirittura deve alla rivoluzione borghese. All'inizio della guerra civile russa, persino dopo la presa del potere, per esempio, i battaglioni rossi marciavano ancora al canto della Marsigliese, che aveva una verve combattiva nonostante i termini di libertà, uguaglianza e fraternità.

Amadeo tuona contro le contraddizioni dei costruttori di partiti e di socialismo i quali parlano di conquiste democratiche. Edificazione democratica del socialismo? Della frode politica, semmai, dato che non si è mai vista una maniera democratica di costruire edifici (26). Le grandi realizzazioni umane sorgono secondo un progetto fatto valere da un'autorità che non risiede tanto in alcuni individui, quanto in funzioni riconosciute da tutti. E comunque la rivoluzione non è un edificio, ma una forza della natura che va liberata da ogni ostacolo che ne ritardino l'avanzata. Amadeo, ricordando la parola d'ordine di Lenin, Soviet più elettrificazione, paragona la rivoluzione industriale borghese, basata sulla macchina a vapore, con quella proletaria, che ormai sarà basata sull'elettricità. Il controllo del vapore è locale, degno della democrazia filosofica, libertaria, teorizzata anche nell'anarchia economica del piccolo borghese Proudhon. L'elettricità necessita invece di una rete strutturata secondo nodi nevralgici di trasformazione, di controllo centrale, di smistamento della potenza. Il vapore è democratico, l'elettricità è organica (sottolineato nel testo originale).

Oggi siamo abituati a sentir parlar di ben altre reti di trasmissione dell'energia e dell'informazione. Non si ritorna più indietro, lo stesso mondo borghese è spinto inesorabilmente avanti, e sarebbe veramente assurdo per chi si definisce comunista non registrare questo fatto elementare e non tenerne conto quando parla di partito, di organizzazione, di "analisi della situazione".

Anche la produzione capitalistica, dove convivono l'autorità organica del piano di produzione e il becero dispotismo industriale, non può fare a meno di subire metamorfosi fondamentali, che ci mostrano anche in questo campo la tendenza generale. Tutte le caratteristiche individuate da Marx, dalla collaborazione dei produttori all'organizzazione scientifica del lavoro sfociata poi nel cosiddetto taylorismo, sono state esasperate dalla continua ristrutturazione sulla base di un elemento che non costa nulla: l'organizzazione, l'informazione. Ciò che va sotto il nome di "qualità totale" e che raramente i capitalisti riescono ad applicare sul serio, non è altro che l'applicazione all'ennesima potenza di ciò che già Marx considerava introduzione di comunismo nel processo produttivo. I principi che stanno alla base della qualità totale sono gli stessi che ci permettono di dire che il comunismo non ha che da essere liberato, perché ci mostrano come non mai quanto la forza produttiva sociale sia avanzata rispetto all'arcaico modo di produzione capitalistico (27).

Lo stalinismo è uno specchio formidabile di questo processo. Esso si è rivelato necessario per l'accumulazione in Russia ed ha assunto la forma meno organica che si possa pensare ai nostri giorni, quella del capitalismo ultra-quantitativo, del carbone e dell'acciaio, dissipativo, inquinante (28). Una volta che questa forma si è dimostrata ormai inutile, il necessario trapasso a forme organizzative più moderne è entrato in contraddizione con tutta la "gigantesca sovrastruttura" e, non essendo possibile una rivoluzione, il sistema intero si è sfasciato.

La questione della forza

Il passaggio da questa situazione paludosa all'esistenza del partito, al rovesciamento della prassi, non è una questione di volontà, non è una questione di organizzazione e non è neanche una questione di "presa di coscienza". E’ un intreccio fra la maturazione delle forze produttive e l'incapacità del modo di produzione, con tutta la sua sovrastruttura, di farvi fronte. In questo scontro la cosiddetta soggettività delle masse non può essere invocata al di fuori delle determinanti materiali, quindi tantomeno suscitata. Si tratta di una specie di legge della conservazione dell'energia, per la quale se tra due classi è forte l'una, è debole l'altra e viceversa.

Come disse Trotzky a proposito dell'Ottobre, la forza non si misura meramente con i numeri ma con le relazioni. Il fatto che il feudale Kornilov avesse un esercito disciplinato e i Rossi solo qualche plotone sbandato fu irrilevante; d'altra parte avrebbe potuto essere irrilevante la mobilitazione di milioni di uomini e magari anche la debolezza estrema della borghesia, se la classe operaia non avesse potuto sviluppare il suo partito politico. Senza partito può crollare il mondo ma non c'è situazione rivoluzionaria, come dice Bordiga nell'articolo Attivismo (29). Sappiamo che da follie immediatiste e antipartito possono scaturire errori che si pagano cari, com'è ampiamente dimostrato dalla storia recente e passata.

Nel nostro grafico del rovesciamento della prassi (30), sono indicate le fasi del processo rivoluzionario, dalle elementari spinte fisiologiche alla coscienza che rende possibile il progetto del futuro, da un certo modo di produzione che determina l'ideologia dominante al partito di classe che ne è la negazione. Ebbene, quelle freccette che marciano all'inverso e che indicano l'influenza conservatrice, non significano "i borghesi" e neppure "la borghesia", ma un'influenza che è nella società e che permea di sé tutte le classi, compresi i proletari i quali, in situazione normale, sono schiacciati dal peso delle convenzioni più che dai grandi borghesi.

Tutte le volte che c'è una manovra economica, una ristrutturazione, una scadenza di contratto o una legge qualsiasi, assistiamo al rito delle grandi lamentazioni moralistiche a causa del ricorrente "attacco della borghesia al proletariato". Questa è una delle idiozie più insopportabili che la Sinistra, con Marx, ha più volte bollato. Ogni comunista dovrebbe rendersi conto che, di fronte alla potenza fisica del proletariato, la borghesia sarebbe disarmata se l'ideologia dominante non permeasse completamente i proletari e coloro che dicono di farne gli interessi. Non sono i cannoni, i tribunali, i poliziotti, i padroni, i parlamenti o altro ad annichilire il proletariato, a renderlo classe per la borghesia invece che classe per sé. E' quel tanto di ideologia dominante che, in epoche come questa, tutti assorbono fin dalla nascita, e che porta al disastro anche i meno peggio fra i militanti.

Nel nostro schema è escluso persino che le spinte unificanti verso il partito derivino dal singolo, perché soltanto l'organizzazione di classe può fornire la consapevolezza della forza, e neppure l'organizzazione di per sé, ma l'organizzazione per qualcosa, l'organizzazione nella prassi continua in difesa delle proprie condizioni di lavoro e di vita. Per questo insistiamo sulla necessità di partecipare all'attività immediata sui posti di lavoro, quella che troviamo, fino a che non vi sarà la forza di ottenere qualcos'altro, contrastando la suicida tendenza a suddividere i lavoratori. E' un'altra stupidaggine mettersi a teorizzare una forma piuttosto che un'altra e, peggio ancora, mettersi ad organizzare gruppetti sindacali che non sono diversi, nella sostanza, dalle maggiori centrali.

Non è questo il momento di affrontare la cosiddetta questione sindacale, che in fondo esiste solo nelle bizantine discussioni ricorrenti, ma per lunga esperienza sappiamo che dove siamo stati presenti abbiamo sempre raggiunto i migliori risultati attenendoci strettamente a quanto detto e messo in atto dalla Sinistra da quando esiste. Non è una nostra pensata e neppure un comodo riferimento alla "tradizione", ma un atteggiamento direttamente ricavato dalla teoria: la forza non è mai un prodotto della volontà del singolo e nemmeno della somma delle volontà di tutti i singoli del pianeta. E' il prodotto di fattori materiali che impongono la polarizzazione sociale (separazione netta e visibile degli interessi di classe) e l'azione conseguente (orientata) dei singoli all'interno delle classi. Finché le spinte elementari e gli interessi economici non sono "orientati", cioè finché non esiste una prassi da rovesciare, essa non potrà essere rovesciata.

Il nostro lavoro di comunisti non può mai consistere nel far girare parole per l'aria. Il lavoro missionario non ha mai convinto nessuno, o meglio, era convincente la forza che stava dietro ai preti, cioè gli archibugi, la cavalleria, le flotte. Nessun partito, borghese o proletario, è stato in piedi un minuto di più rispetto alla forza materiale che l'aveva espresso e gli permetteva di esistere. Se non basta l'esperienza del nostro ex partito, guardiamo all'esperienza dei partiti borghesi, qui, ma soprattutto all'Est, dove si sono dissolti dall'oggi al domani enormi apparati che sembravano blindati contro l'universo ed eterni. La rottura dell'intreccio di interessi fra le classi, quella che la nostra corrente chiama polarizzazione, non è un prodotto che si possa volere. Ed è proprio perché sarà frutto di determinanti materiali complesse, di quelle che la borghesia non può prevedere e che di solito la lasciano senza fiato come un pugno nello stomaco, che provocherà la selezione naturale, drastica, tra le forze che rappresentano il passato e quelle che rappresentano il futuro.

Siamo così presuntuosi da pensare di avere una forza alle spalle, quella del patrimonio teorico comunista. Parliamo poco, perché non sono le "nostre" parole che convincono, ma riproduciamo e pubblichiamo quelle che per adesso sono le nostre artiglierie. Le teorie e gli schemi che adoperiamo sono frutto della storia e, accidenti, serviranno pure a qualcosa, ci dovrà pur essere qualcuno che ne fa una lettura precisa, per quello che esattamente vogliono significare. O almeno dovrà esserci qualcuno che cerca di fare questa lettura. Abbiamo pubblicato un paio di Lettere ai compagni che parlavano della rivoluzione in cerca dei suoi strumenti (Demoni pericolosi) e di strumenti che vengono prima o poi trovati (Militanti delle rivoluzioni). Come diceva Amadeo, cerchiamo di piazzare dei sensori per vedere se il detector rivela delle forze sparse portate ad una lettura non distratta della teoria e degli schemi. Per fare un lavoro, non per far numero o per "rilanciare la lotta di classe" (ci è capitato di sentire anche questa, come se si trattasse di un lancio pubblicitario). Sappiamo benissimo che c'è un mucchio di gente che ad ogni stagione riscopre nuove letture di Marx e, anche se nessuno è garantito contro l'abbaglio e la fesseria, cerchiamo di non far parte di quella banda. Ci accontentiamo di fare la solita lettura di Marx, con l'aiuto della nostra solita bussola, cioè la Sinistra comunista.

Questo tipo di lavoro ci permette oggi di trasmettere alcune considerazioni dimenticate sul comunismo come forza del futuro e, smentisca Marx chi vuole, è scritto, come dicono i talmudici. Si sa, noi siamo talmudici oltre che dogmatici, astratti e chi più ne ha più ne metta. Ma soltanto a partire dalle forze materiali suscitate dal comunismo possiamo concepire il nostro lavoro, che impostiamo su quello di Bordiga. Soltanto attraverso questo lavoro ci aspettiamo di trovare sul campo altri come noi che, catturati dal demone comunista, facciano lo stesso percorso. Ognuno di noi potrà anche non esserci più in quel futuro per cui lavoriamo, ma in quel momento ci si accorgerà che, al di là delle persone, si realizzerà anche la vagheggiata omogeneità e unità fra i militanti, quell'altro aspetto del rovesciamento della prassi per cui l'unione delle forze rivoluzionarie non sarà, come adesso si crede idealisticamente, soltanto un fattore del partito ma nello stesso tempo fattore e prodotto del suo processo di formazione e sviluppo. Come dicono le Tesi di Roma, tanto per non cambiare (31).

4. La discussione

 Forse è inevitabile divagare quando si discute - gli argomenti sarebbero tanti - ma meglio sarebbe mantenere la discussione sui temi portanti della riunione di quest'oggi. Abbiamo una pluridecennale abitudine per quanto riguarda le nostre riunioni, ed è quella di non aprire dibattiti. Non si tratta mai, infatti, di confrontare opinioni, ma di fare un lavoro. In specie, adesso, si tratta di integrare quanto detto fin qui ed evitare di perdere tempo.

Mentre difende la tesi dello sviluppo per salti contro ogni concezione statica della società, il materialismo storico dialettico avvalora, al tempo stesso, i risultati della più avvertita indagine antropologica, per esempio di un Morgan, come prove storiche della originaria società comunista. L'idea di un'età passata in armonia con la natura permette di dare un valido sostegno alla previsione del comunismo integrale, fine del dominio borghese e con esso della millenaria divisione in classi dell'umanità. La crescita formidabile delle forze produttive realizzata dal capitale permette, insomma, di stabilire obiettivamente la inevitabilità del trapasso e del passaggio a un più organico assetto sociale già auspicato, per esempio, prima ancora degli utopisti citati nel Manifesto del 1848, da un Rousseau o da un Fourier, pensatori senz'altro rivoluzionari ma ancora incapaci di spiegare il rapporto tra individuo e società in termini di scienza.

Alla definizione dell'individuo come prodotto dei rapporti sociali, e della società come l'insieme delle condizioni materiali di produzione e riproduzione, perviene la teoria marx-engelsiana nella quale il comunismo non è più aspettativa etica o passionale ma reale forza sovvertitrice dell'ordine costituito.

A ben vedere - e la Sinistra lo ha più volte rimarcato - il materialismo storico dialettico compendia, in sintesi non contraddittoria, utopismo e scienza. Se l'utopismo anticipa il futuro, e lo fa romanticamente, il comunismo ne riporta la cognizione del presente e del passato onde uniformarne i dati e consentire previsioni. Scrive Bordiga: l'errore dell'utopista, dell'utopismo in genere, sta nel trarre, una volta constatati i difetti dell'ordinamento sociale presente, la trama della società a venire non dalla catena dei processi reali che lega il corso storico precedente a quello futuro ma dalla sua propria testa, cioè dal razionale umano, invece che dal reale naturale e sociale. L'utopista ritiene insomma che il punto di arrivo debba essere contenuto nell'affermazione di principi, come quelli di uguaglianza e libertà, insiti a suo dire nell'animo umano. Il marxista all'opposto sa, per averne studiato le determinanti storiche e sociali, quali saranno i caratteri della società futura in deciso, netto contrasto con quelli della società mercantile, della forma capitalistica.

Detto questo, va allora sottolineato che non c'è, né può esserci, barriera tra la scienza della natura e la scienza della società. Se è possibile, e lo è da millenni, prevedere una eclisse, non deve giudicarsi azzardata la pretesa di descrivere la società in divenire. Ora, due sono le possibili obiezioni. La prima: storicamente si è giunti a indagare con metodo scientifico, cioè quantitativo, matematico, prima i problemi del mondo fisico, non quelli dell'aggregato sociale. E sia. La seconda: se in natura è possibile applicare con sempre maggiore esattezza schemi semplificati al fine di scoprire leggi o di elaborare e applicare formule, i fenomeni accessori e, nella maggior parte dei casi, persino occultanti il fatto che si intende isolare, sono di molto più numerosi. E va bene anche questo. Fatto sta che una volta stabilito il modello da esaminare, l'uso del metodo scientifico - per l'appunto quantitativo - in Marx è rigoroso, estremamente coerente, al fine di forgiare uno strumento davvero efficace per prevedere le tendenze di sviluppo generale.

Ora, quale che sia il loro grado di sviluppo, di evoluzione, scienza della natura e scienza della storia applicano gli stessi metodi di indagine. Detto altrimenti, se è possibile nel mondo fisico naturale calcolare e descrivere un dato fenomeno o persino scoprire elementi, sostanze organiche o inorganiche prima ancora che l'occhio umano o il senso umano in generale ne abbia colto l'esistenza, è egualmente possibile nel mondo sociale, una volta compreso il meccanismo che regola i rapporti sociali - cioè i rapporti tra uomini e tra i rapporti tra uomini e il modo di produrre - è altresì possibile, dicevamo, descrivere il mondo a venire, il corso storico sociale.

Tutto questo conduce anche all'affermazione secondo la quale uno scopo storicamente perseguito (lo hanno detto anche i compagni che mi hanno preceduto) sta prima della classe stessa, sta prima della sua coscienza, prima della sua volontà. E' l'esistenza stessa, qui e oggi, di risorse tecniche, scientifiche e organizzative tali da potersi tranquillamente svolgere in rapporti sociali del tutto diversi dagli attuali - i quali possono e devono essere, perciò, aboliti - che impone lo scopo, il comunismo. Indispensabile, per il cambiamento dei reali rapporti di proprietà, è dunque, prima dell'azione della classe o della sua maggioranza, prima della coscienza e della volontà, che diventeranno fattori determinanti solo nel processo per la conquista del potere da parte del partito politico, lo stato reale della contraddizione fra lo sviluppo delle forze produttive e il modo di produzione. Dopo verrà la coscienza generalizzata del nuovo stato di cose, e dopo sarà possibile accelerare al massimo lo sviluppo della nuova forma sociale.

Per la prima volta nella storia si formano all'interno di una società le condizioni (produzione sociale) che anticipano quella futura senza che la classe rivoluzionaria possa anticipare anche le forme e le idee conseguenti di tale società futura. Il proletariato, con il suo partito, è l'interprete e l'esecutore della prossima rivoluzione, ma non può fare nulla per realizzare all'interno del capitalismo qualche manifestazione della società nuova. Nel capitalismo sono presenti tutte le potenzialità della società nuova, ma i proletari non possono costituire elementi di comunismo all'interno di questa società, come i borghesi invece poterono fare all'interno della società feudale, con manifatture, commercio, banche e città. La rivoluzione borghese si manifestò prima con le realizzazioni capitalistiche e poi, con l'Enciclopedia, si diede un corpo di dottrina. Ma solo dopo la rivoluzione la borghesia come classe afferrò in pieno la sua propria ideologia.

Più indietro nel tempo, i capi della rivoluzione cristiana non furono consapevoli del contenuto storico reale della lotta contro la forma schiavistica di produzione. Essi fecero propria una dottrina, per quanto autocompiuta e perciò "perfetta", che non partiva dalle condizioni mature per il superamento della vecchia società ma il cui movente, il cui grande slancio sovvertitore, era l'uguaglianza rispetto al riscatto ultraterreno. Ebbene, anche in quel caso, più ancora che nel caso della borghesia, il passaggio da una forma sociale all'altra non fu chiaro alle masse in lotta né ebbe chiara la sostanza del trapasso alcuna scuola, alcun partito, anche se all'interno della società schiavistica e pagana furono realizzate, lungo ben trecento anni, comunità cristiane basate sulla solidarietà, sulla comunione nel nuovo dio e su di una liturgia (normativa) uguale per tutti. Ci vollero mille anni ancora per completare il corpo di dottrina.

Col capitalismo, per la prima volta, la questione della prassi rivoluzionaria è rovesciata. Non abbiamo la formazione anticipata di isole comunistiche all'interno del capitalismo, ma abbiamo la formazione del partito che anticipa (questa volta sì) il movimento futuro, la società futura in quanto dottrina. La nuova dottrina non è un'idea o una filosofia (in un tempo remoto sarebbe stata religione), ma è la descrizione della società futura attraverso la constatazione del suo divenire.

Allora: il marxismo non aderisce a un semplice moto razionale dello sviluppo sociale. Il razionalismo ebbe un senso quando si pose a fondamento dell'ideologia illuminista, la quale, con la sua critica all'autoritarismo feudale, si fece promotrice della rivoluzione borghese. Una volta demolito l'edificio assolutistico, la ragione intesa come primo motore - la ragione indipendente dalle condizioni materiali - divenne presto un assurdo, e a soddisfarla bastarono la stessa forma organizzativa del lavoro imposta dal capitale e l'indagine economica sui suoi effetti, come per esempio fece un Adam Smith.

Punto cardine, dunque, è il seguente: solo la rivoluzione proletaria, negatrice di ogni supremazia classista, ha, col suo strumento partito, che solo può attuare il rovesciamento della prassi (principio fondamentale oggi più volte riproposto non a caso), coscienza preventiva e sufficientemente definita, attendibile, dei propri obiettivi. Non può la coscienza, cioè la volontà, risiedere in tutti coloro che lottano contro il capitalismo, non è la "massa" che può sostituire il partito. Nel partito si trova solo una minoranza piuttosto esigua della classe cui si aggiungono i transfughi di altre classi, perché è errore teorico grave pensare che la propria condizione sociale possa di per sé determinare l'assetto del pensiero individuale, quando l'ideologia dominante è quella della classe dominante. Ciò seguita a scandalizzare ma, e Bordiga lo ha detto fin dagli anni della polemica contro l'Internazionale, si scandalizzi chi vuole, quelle sono le determinanti storiche, mentre le speranze di ognuno sono altra cosa.

Dunque, gruppi, tesi, testi, movimento sociale, anche la controrivoluzione, tutto ciò non è altro che il dispiegamento del partito storico nel quale risiede esclusivamente la coscienza del processo rivoluzionario e col quale è fatale non mettersi in armonia. Si ricordi Engels: soltanto nella futura società gli uomini agiranno con piena coscienza; soltanto nel comunismo le cause che essi porranno in movimento avranno, in misura prevalente, gli esiti desiderati. Compito di realizzare il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà è sicuramente del movimento proletario moderno; compito di spiegarne i caratteri, di portare cioè la classe rivoluzionaria alla consapevolezza della sua propria azione, è del partito.

Il partito storico è null'altro che l'espressione teoretica del movimento proletario rivoluzionario, quindi non muore mai. Il partito formale, invece, in certi svolti storici può non esserci. Il cercar di lavorare come partito, pur in assenza dichiarata di partito formale, significa non rinunciare al principio organizzativo centralizzatore dell'attività rivoluzionaria. Si è spesso ricordato che i comunisti, se pur fossero rimasti solo in due o tre, lavorerebbero in forma organizzata. Ciò è oltremodo banale: chiunque faccia un qualsiasi lavoro, nell'epoca delle teorie e delle pratiche organizzative spinte, lo deve fare in modo organizzato, altrimenti non è tanto un cattivo comunista quanto un semplice stupido. A volte, forzando l'argomentazione, c'è qualcuno che tende a scambiare il lavoro organizzato con la fondazione di partiti, o meglio, del Partito. Abbiamo già criticato più volte la follia di questa pretesa.

E' ovvio che il partito rimane strumento essenziale della rivoluzione. Per quanto ogni buon marxista individui già perfettamente operante il comunismo nella società capitalistica presente, nella forma sociale data, lo stesso marxista, se è veramente tale, giudica indispensabile la presa del potere da parte proletaria per mezzo del partito. Quest'ultimo, organo attraverso cui la classe è veramente tale, è anche lo strumento per il mantenimento del potere nella fase transitoria. Poi si estinguerà con le classi e con lo stato, "a meno che non si intenda come partito un organo che non lotta contro altri partiti ma che svolge la difesa della specie umana contro i pericoli della natura fisica e dei suoi processi evolutivi, probabilmente anche catastrofici" (32). Un simile organo, la storia ha insegnato, non si tiene in piedi artificialmente, con disciplina o altro, quando traligna, ma non si fonda neppure a capriccio quando manca (33).

Note

(14) Se per "comunismo" Marx avesse inteso qualcosa di diverso da una dinamica sociale complessiva, si troverebbe nell'opera sua e di Engels una descrizione diretta di questa società, mentre invece, a delusione dei marxisti d'accatto, non ve n'è traccia. Questo solo fatto dovrebbe far pensare. Va da sé che, se invece ci fosse tale descrizione, saremmo tutti quanti - Marx compreso - degli utopisti fra tanti altri e non dovremmo stare qui ad indagare su di un divenire per cui necessita un partito ma dovremmo propugnare, con chi ci sta, la realizzazione di un modello già pronto, come fecero Fourieristi, proudhoniani, anarchici ecc., che diedero vita, nell'Ottocento, a esperimenti comunistici poi falliti. Non è un caso che solo certe sette moderne abbiano potuto realizzare modelli sociali a sfondo comunistico, isolandosi totalmente dal contesto sociale con esiti tragici, fino al suicidio di massa.

(15) Queste suddivisioni sono arbitrarie se non c'è riferimento alle aree geostoriche: per esempio il neolitico termina in Medio Oriente settemila anni prima che in Europa, producendo differenze sociali enormi. Precisiamo che intendiamo sempre il termine classe in senso compiuto che non equivale a ordine sociale. Così nell'antico Egitto prima dei Tolomei, nel cosiddetto modo di produzione asiatico, nella Mesopotamia, nella Cina o nelle società precolombiane ecc., non vi erano classi nel senso attuale, ma solo ordini sociali. Il concetto moderno di classe è frutto della rivoluzione francese e, dal nostro punto di vista, vale quel che ne dice Marx nel Manifesto: il proletariato è classe non meramente statistica solo in quanto si organizza in partito.

(16) K. Marx, Manoscritti economici e filosofici, ed. Einaudi pag. 125.

(17) "Sussiste ancora una colossale sproporzione fra le mete prefissate e i risultati raggiunti; i fatti impreveduti predominano; le forze incontrollate sono molto più potenti di quelle messe in movimento secondo un piano. E non può essere altrimenti, finché l'attività storica essenziale degli uomini, quell'attività che ha sollevato l'uomo dall'animalità all'umanità, la produzione sociale, resta soggetta all'alterno gioco di influenze imprevedute, di forze incontrollate, e realizza solo eccezionalmente l'obiettivo voluto. Darwin non sapeva quale amara satira scrivesse sugli uomini quando dimostrava che la libera concorrenza, la lotta per l'esistenza che gli economisti esaltano come il più alto prodotto storico, sono lo stato normale del regno animale. Solo un'organizzazione cosciente della produzione sociale può sollevare gli uomini al di sopra del restante regno animale quanto la produzione in generale lo ha fatto per l'uomo come specie" (F. Engels, Dialettica della natura, Opere complete cit. vol. XXV, pag. 332).

(18) Un commento al passo di Marx si trova in Scienza economica marxista come programma rivoluzionario, Ed. Quad. Int., al capitolo Il capitalismo non esiste, dove si invita il lettore a fare "qualche esercizio col muscolo della dialettica" e si cita Marx: "Il capitalismo è già fondamentalmente soppresso dalla proposizione che il godimento e non l'arricchimento sia il motivo determinante". Se il Capitale si basa non sulla soddisfazione delle esigenze dei capitalisti, ma sulla pura e semplice necessità di estrarre plusvalore per aumentarsi, allora si dimostra la scientifica non esistenza potenziale non solo dei capitalisti ma anche del Capitale stesso.

(19) La WTO, l'Organizzazione Mondiale per il Commercio, calcola che, nel 1997, meno del 20% della popolazione del pianeta si sia dedicata ad una produzione agricola, artigianale e manifatturiera o ai servizi. In Italia la proporzione è del 35%. E' ovvio che se non si ripartisse socialmente il plusvalore per il sostentamento di questa sovrapopolazione, vi sarebbe un'esplosione sociale. Dice Marx nel III libro del Capitale: "Uno sviluppo delle forze produttive che avesse come risultato di diminuire il numero assoluto degli operai, che permettesse in sostanza a tutta la nazione di compiere la produzione complessiva in un periodo minore di tempo, provocherebbe una rivoluzione perché ridurrebbe alla miseria la maggior parte della popolazione". Impedire con ogni mezzo questa rivoluzione è pura lotta di classe.

(20) Lenin, L'imperialismo fase suprema del capitalismo, Opere Complete vol. 22, Editori Riuniti, pag. 301-302.

(21) A. Bordiga, Deretano di piombo, cervello marxista, ora in Dialogato con Stalin, ed. Quad Int.

(22) F. Engels, Antidühring, Opere Complete, Ed. Riun. vol. XXV pag. 258, 268 e 269. Qui però citiamo una traduzione di Bordiga (nella traduzione degli Editori Riuniti al posto di "manubrio" è stato usato il termine "chiave").

(23) Nell'ambiente scientifico è ormai universalmente riconosciuto che l'uomo è un elemento superfluo per l'esplorazione dello spazio: potrebbe starsene tranquillamente a terra, seduto davanti ai suoi computer ad elaborare dati inviati da meno costosi robot. La presenza di uomini sui veicoli spaziali è più che altro un fatto pubblicitario legato alla morbosa emozione suscitata dal pericolo, mentre con le macchine, meno appariscenti e meno "televisive", si sono raggiunti risultati tecnicamente notevoli. Il testo sulla questione spaziale, cui accenniamo più avanti, uscirà nei primi mesi del 1999.

(24) 1921: Partito e classe; 1924: Lenin nel cammino della rivoluzione; 1954: Vulcano della produzione o palude del mercato?; 1955; Russia e rivoluzione nella teoria marxista; 1957; I fondamenti del comunismo rivoluzionario; 1958: Dottrina dei modi di produzione; 1965: Tesi di Napoli.

(25) Questo è un passo che purtroppo citiamo a memoria in quanto apparso solo in un opuscolo su marxismo e stampa, che non siamo riusciti a ritrovare.

(26) In Struttura economica e sociale della Russia, pag. 665.

(27) In breve si può dire che il principio fondamentale della qualità totale risponde ad un requisito di fisica: esso consiste nel controllo del processo produttivo in modo che vi siano introdotti fattori antidissipativi.

(28) L'inquinamento, la cosiddetta ecologia, sarebbe propriamente il campo per eccellenza sul quale mettere in discussione duramente il modo di produzione che lotta contro la forza produttiva sociale emergente, non di discussione moralistica. L'inquinamento è sempre dimostrazione lampante di basse rese energetiche, sia sotto forma di sottoprodotti dannosi lasciati liberi, sia sotto forma di dissipazione di energia, fumi, calore ecc.

(29) In Battaglia Comunista nn. 6 e 7 del 1952.

(30) In Partito e classe, pag. 136. Le fasi di cui si parla non vanno intese come successioni nel tempo ma come livelli diversi nel processo di rovesciamento della prassi. Il grafico fu presentato in una riunione generale del partito a Roma il 1° aprile del 1951. E' curioso constatare come Einstein, in una lettera privata del 25 aprile 1952 al suo amico Solovine, utilizzi un grafico simile per illustrare il processo che va dall'esperienza empirica alla teoria scientifica e di qui nuovamente alla prassi come rinforzo della volontà cosciente (Gerald Holton, L'immaginazione scientifica, Einaudi, pag. 299). Ripetiamo, contro le solite semplificazioni e a costo di autocitarci, che "nel mondo succede sempre tutto in una volta" e che la storia, cioè l'individuazione di una sequenza, dipende dai metodi adottati dall'umanità per la "periodizzazione" (dinastie per le antiche civiltà, datazione continua a partire dalla nascita di Gesù per il cristianesimo, ciclo venusiano per uno dei quattro calendari Maya, grandi uomini, guerre o tipi di governo per la storia borghese, formazioni economico-sociali per il marxismo).

(31) Il partito "si forma e si sviluppa nella misura in cui esiste la possibilità di una coscienza e di un'azione collettiva unitaria nel senso dell'interesse generale e ultimo della classe operaia. D'altra parte il proletariato appare ed agisce nella storia come classe quando appunto prende forma la tendenza a costruirsi un programma e un metodo comune di azione, quindi ad organizzare un partito" (Tesi di Roma, capitolo II).

(32) Dalle Tesi di Napoli, paragrafo 11.

(33) Cfr. Tesi di Roma, cap. II, "Processo di sviluppo del Partito Comunista".

Lettere ai compagni