Newsletter numero 240, 4 giugno 2020

Un virus opinabile

Alcuni "esperti" ritengono che l'attuale pandemia sia una normale variante di quella serie di "asiatiche" andate in scena in questo dopoguerra. Pericolose, sì, ma entro ragionevoli possibilità di controllo. Altri "esperti" temono invece che, con le sue implicazioni, questo ceppo sconosciuto di virus possa diventare uno dei più gravi pericoli che la nostra specie abbia mai affrontato. Tra questi estremi c'è tutta una serie di varianti, e l'insieme dà più l'idea di una raccolta di opinioni che di un risultato scientifico. Eppure il tasso di letalità molto alto (morti/contagi) dovrebbe di per sé rappresentare un allarme. Ecco il numero dei morti ogni 100 contagiati in alcuni paesi:
Belgio 16,22; Francia 15,36; Italia 14,37; Regno Unito 14,12; Spagna 11,31; Messico 10,93; Canada 7,96; Stati Uniti 5,8; Brasile 5,62; Cina 5,51.

1957-1965: Scienza e rivoluzione
2019: Coppi, Bartali e le vaccinazioni

Riprendono i contagi

Oppure diminuiscono? I virus non sono una forma di vita. Di per sé non sono altro che una conformazione molecolare molto reattiva che ha bisogno di cellule vive su cui impiantarsi. In tal modo seguono le stesse determinazioni del corpo che li ospita: secondo le leggi darwiniane dell'adattamento e della selezione, si trasmettono attraverso le vie più facili, per cui le versioni meno adatte soccombono di fronte alle vie più difficili. Di conseguenza il ceppo diventa sempre più pericoloso nella misura in cui sembra adottare una strategia di sopravvivenza in corpi di animali che ne sarebbero il serbatoio di trasmissione. Il virus dell'attuale pandemia ha dunque capacità mutante che potrebbe dar luogo a una sistemica perdita di controllo e quindi preparare una catastrofe sociale. Mentre scriviamo, la Cina e la Corea, che sembravano i paesi più virtuosi del mondo per la loro efficacia nel circoscrivere la pandemia, sono ritornati al blocco e all'isolamento per 150 milioni di persone.

2001: Il crogiuolo bio(tecno)logico
2001: Mucca pazza e i suoi untori

Ecologia ed ecologismo

Si è fatto spesso l'esempio dell'influenza "spagnola" che nel 1918 provocò un numero sconosciuto di vittime (tra i 50 e i 100 milioni), ma è inappropriato: con la mobilità raggiunta dalle popolazioni d'oggi un virus di quel tipo, con una piccola mutazione, sarebbe in grado di decimare gli abitanti del Pianeta e farli regredire a stadi precedenti. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha realizzato al computer un virus mutante con le caratteristiche di alcuni virus conosciuti. Potrebbe essere quello che da anni ci si aspetta, chiamato "X" oppure "The Big One". Non è un'ipotesi ma una certezza: uno studio dei virus che hanno caratteri pandemici porta a stabilire che l'uomo capitalistico ha indotto nella biosfera elementi disarmonici che ne turbano l'equilibrio e, al limite, provocano l'estinzione di molte forme di vita. Questa estinzione è già in corso: migliaia di specie stanno scomparendo senza che neppure ce ne rendiamo conto. E la nostra è tra le meno attrezzate per sopravvivere.

2020: Prove di estinzione (la dottrina del rimedio)

Necessità del rivolgimento sociale

In un contesto come quello messo in luce da questa pandemia, è certo che una rivoluzione dovrà risolvere, oltre al problema del potere contro i partiti delle classi avverse, anche quello dell'integrità della specie stessa. L'ecologismo di maniera è impotente di fronte ai problemi che esso stesso elenca; se uno sconvolgimento universale non ferma il capitalismo (inteso come sistema, poiché è tale anche senza capitalisti), l'estinzione della nostra specie esce dal campo delle ipotesi per diventare possibilità reale.

1965: Tesi sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale
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Fine pandemia?

Siamo a 6.200.000 contagiati nel mondo con 372.000 deceduti. In Italia, Germania, Francia, Spagna, i grafici della pandemia hanno incominciato a segnare una riduzione degli incrementi assumendo la classica forma ad "S" appiattita, ma il grafico del mondo, influenzato da quelli di paesi come Stati Uniti, Inghilterra, Russia, Brasile, Messico, è ancora ad andamento esponenziale. Ciò significa che in media la situazione non sta migliorando, anche perché la massa delle popolazioni più a rischio ha esaurito ogni possibilità di assistenza organizzata e le strutture sanitarie sono sopraffatte. È sempre più evidente che sarebbe indispensabile un coordinamento mondiale, quando invece i singoli stati continuano a mantenere una politica nazionale. Gli "esperti" si aspettavano un calo dei contagi con l'avanzare della stagione calda, come per le influenze normali. Si parla anche di una mutazione "benevola", ma per ora il fenomeno non è provato.

2009: Pandemia

Feroce equilibrio darwiniano

Edward Luttwak, consulente militare del governo americano, ha detto che mille morti al giorno a causa del virus rappresentano per gli Stati Uniti un fenomeno controllabile al pari di qualunque altro che presenti numeri dello stesso ordine di grandezza. Sempre negli Stati Uniti, ogni stato federato deciderà in autonomia quali provvedimenti prendere, mentre in Italia decideranno le regioni. Potrebbe perciò succedere che all'interno di uno stato a situazioni identiche siano applicati provvedimenti diversi o che a situazioni diverse siano applicati provvedimenti identici. Questa anarchia sanitaria potrebbe provocare centinaia di migliaia di morti a livello mondiale. Essa non è altro che il riflesso dell'anarchia economica, la quale non solo non permette di programmare la vita sociale, ma ha bisogno del caos, come una giungla darwiniana ha bisogno di predatori e prede, virus e batteri, organismi per noi utili e parassiti, individui sani e individui malati. Il grafico della situazione americana in confronto a quella di altri paesi parla da solo (linea isolata grigia):

Grafico Covid-19

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Rimanere sul mercato

L'imperativo categorico del capitalista in tempo di pandemia è: "Devo rimanere sul mercato, se non ci sono io altri prenderanno il mio posto." Quindi apriamo le fabbriche, mandiamo gli operai allo sbaraglio, come è stato fatto con medici e infermieri. Un alto funzionario europeo ha detto che l'Europa conoscerà "la recessione economica più profonda della sua storia". In Cina, scientificamente, hanno già deciso di dare la precedenza alle industrie che stanno a monte della catena produttiva mondiale (ma allora si può pianificare, se il capitale lo comanda!). Così, alimentando le linee di montaggio della "fabbrica del mondo" l'industria cinese rimarrà sul mercato a scapito di quella di altri paesi. Gli Stati Uniti hanno già mostrato la politica che intendono seguire: escludere l'OMS e basarsi esclusivamente su risorse interne per bloccare la pandemia. Il fatto è che non esistono "risorse locali" per una malattia globale in un mondo globalizzato. Con buona pace di Trump, la Cina è attrezzata sia per la pandemia che per la produzione. Il capitale americano, in confronto, è irrimediabilmente vecchio.

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Ricchi e poveri

Il governo americano prevede oltre 41 milioni di disoccupati su 330 milioni di abitanti entro la primavera. Un numero che spazza via tutti gli sforzi fatti dal 2008 a oggi per aumentare l'occupazione. L'Unione Europea, con 440 milioni di abitanti ha 22 milioni di disoccupati. Se la pandemia si protrae, il numero complessivo dei disoccupati aumenterà. Il divario fra il numero dei disoccupati dei vari paesi è l'indice della distanza che li separa dal punto di vista economico: l'economia mondiale è quella dei grandi paesi capitalistici, il resto dei paesi fa da supporto per materie prime, costo del lavoro, sbocco per merci a basso prezzo in grandi quantità. Se i paesi "ricchi" vanno in crisi per effetto del virus peggio di quanto non lo siano già, vanno automaticamente in crisi i rapporti con i paesi "poveri" che diventano più poveri. E le previsioni del PIL americano per il terzo trimestre di quest'anno sono di un mostruoso 30% in meno su base annua.

2008: Non è una crisi congiunturale
2008: Un modello dinamico di crisi

Effetti pandemici sull'economia dei maggiori paesi d'Europa

USA e UE scambiano beni e servizi per 1300 miliardi di dollari. Aziende europee, giapponesi e cinesi impiegano milioni di persone negli Stati Uniti. Europa e America sono i partner commerciali che più alimentano l'enorme apparato produttivo cinese. Questa interdipendenza delle economie rende i tre grandi blocchi capitalistici assai fragili di fronte agli effetti prevedibili della pandemia. Il futuro del capitalismo presenta gravi problemi senza soluzione. La pandemia ha fatto mancare lavoro vivo per miliardi di giornate lavorative e ciò si ripercuoterà sul PIL mondiale oltre che sull'interno delle economie nazionali. Le drammatiche situazioni individuali potevano essere temporaneamente coperte da una frazione delle svariate decine di migliaia di miliardi di dollari messi a disposizione a ondate dai governi e dalle banche centrali per le banche private. Questo enorme buco nei consumi e quindi nella produzione avrà effetti a lungo termine: molte delle attività chiuse non apriranno più.

1957: Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica

Scialuppe di salvataggio

Si calcola che in un paese moderno una giornata di sciopero generale ben riuscito produca la perdita di un mezzo punto percentuale sul Prodotto Interno Lordo. Il calcolo è complesso perché vi sono comparti che non producono valore (ad es. servizi non vendibili) e perché normalmente la produzione viene in parte recuperata tramite straordinari e aumento dell'intensità del lavoro. Con i contraddittori blocchi delle attività a causa della pandemia, tenendo conto che nelle zone industriali l'attività produttiva è calata forse al 60% del normale (in Italia, vanto di Assolombarda), si perderanno un centinaio di giornate lavorative/paese. Cento volte di più che per uno sciopero generale di una giornata. Calcolando mezzo punto di PIL per giornata arriviamo al 50% del PIL. Per quanto il calcolo sia certamente grossolano, l'ordine di grandezza è questo. Leggiamo invece su The Economist che nei paesi più industrializzati la perdita ammonterà a una cifra pari al 5-10% del PIL. Quale modello di simulazione può dare una risposta del genere? Abbiamo visto che non tutti gli occupati producono valore e che la produzione verrà in parte recuperata con l'espansione della giornata lavorativa o con l'intensificazione dei ritmi lavorativi. Aggiungiamo che migliaia di giornate lavorative non sono andate perse là dove è stato possibile introdurre il lavoro a domicilio o qualche sistema di protezione. C'è infine l'annoso problema dell'utilizzo degli impianti: in Italia da ormai molto tempo l'apparato produttivo è, nel suo insieme, utilizzato al 70%. Ciò significa che il post pandemia si presenterà con uno spaventoso aumento dello sfruttamento, fatto passare come virtuosa capacità di recupero da parte del capitalismo. Ma, come dice il proverbio, quando c'è di mezzo il diavolo con le sue pentole, salta sempre fuori un problema con i coperchi.

2016: Pensiamoci bene

Tutto a posto, quindi?

Un calo medio del 7-8% del PIL dopo un blocco della produzione come quello provocato da questa pandemia non sembra la fine del mondo. Sennonché l'attesa crisi economica cade in un momento in cui non si è ancora risolto nulla rispetto alla crisi in corso dal 2008 (quella detta dei sub-prime). La sovrapproduzione e la corrispondente sovraccapacità produttiva lasciano irrisolto il problema di che cosa faranno i capitali disoccupati che da allora vagano per il mondo in cerca di impiego. Ci sono oggi solo due paesi importanti che potrebbero forse innescare una crescita economica (o un freno alla decrescita): Stati Uniti e Cina. Ma dovrebbero inquadrare il capitale selvaggio in un sistema drasticamente programmato. The Economist, il periodico del capitale liberale che dovrebbe funzionare tramite il laissez faire, la virtù taumaturgica della mano invisibile che tutto aggiusta, si chiede quanto temporanea potrà essere la disperata azione degli stati in aiuto all'economia, cosa che tra l'altro è proibita da tutti i trattati economici basati sul libero scambio.
Cosa che specie gli Stati Uniti non possono fare perché hanno già un'economia fortemente condizionata dai controlli che il protezionismo richiede.
Cosa che la Cina non può fare, perché soffre già di guai dovuti a una centralizzazione ostentata e a un'anarchia di fatto (urbanizzazione disumana dei contadini, mobilità estrema della forza-lavoro, città fantasma, finanza rampante, competizione sociale da suicidio, ecc.).
Cosa che l'Unione Europea non può fare perché per agire dovrebbe perlomeno esistere.
Cosa che il mondo non può fare perché è un insieme costituito da paesi che in gran parte sono nelle stesse condizioni di Stati Uniti, Europa e Cina.

2014: Verso il collasso epocale
2017: Il grande collasso

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