Newsletter numero 228, 29 aprile 2018

Socialismo, dove?

In Brasile, Bolivia, Venezuela, Nicaragua i governi latino-americani populisti sono odiati come tutti gli altri dal "popolo" al quale fingono di inchinarsi. E provocano rivolte. In Bolivia c'è stata nel 2016 una lotta violenta dei minatori con morti e feriti. In Venezuela non si contano più i caduti. In Brasile esplodono le favelas e una grande rivolta carceraria ha provocato 70 morti. In Nicaragua il governo Ortega ha decurtato le pensioni del 5% e aumentato di altrettanto i contributi scatenando una protesta in cui l'esercito ha ucciso almeno 63 persone. Specialmente le ripetute proteste in Nicaragua sono un segno di malessere crescente, in un paese che sembrava abbastanza tranquillo nel mezzo di un'area turbolenta. Ortega è quello stesso che guidò la rivolta popolare sandinista degli anni '70 contro la dittatura di Somoza. Salito al potere, decaduto e ritornato al potere nel 2006, si è adoperato contro i movimenti sostenuti dagli americani, ma l'economia ha vinto sulla politica. La crisi colpisce chiunque si basi sullo sfruttamento capitalistico: Cuba, l'ultimo baluardo del "socialismo" nel continente, sarà la prossima bomba sociale?

1950: Arciboiata: il socialismo nazionale
2007: Non trascurate il Sudamerica
2011: Marasma sociale e guerra

Le mezze classi inglesi e l'austerity

Sono, o meglio erano, tra i più garantiti stipendiati del Regno Unito. Oggi sono ovunque in rivolta, tartassati da blocchi di ogni genere, dalle carriere agli stipendi, dai benefit al prestigio sociale. Sono gli impiegati del pubblico impiego, i capi ufficio dell'apparato statale, i responsabili della enorme rete di potere del paese che ha ereditato il peso dell'imperialismo coloniale più potente del mondo e una burocrazia conseguente. Per adesso protestano per settori, per categorie o per tipo di lavoro, sono in lotta pochi per volta e organizzati in modo corporativo, ma si sentono in pericolo, dato che possono precipitare nella sfera proletaria. Ciò li terrorizza, ma nello stesso tempo li rende consapevoli della loro forza potenziale: hanno in mano l'intera burocrazia dello stato.

2008: Non è una crisi congiunturale

Il gorilla

Una battuta di The Economist rende l'idea della portata di dichiarazioni come quelle di Trump sul protezionismo. Si dice normalmente che il battito d'ali di una farfalla può provocare un uragano agli antipodi; nel caso di Trump si può dire – a maggior ragione – che il possente battersi il petto di un enorme gorilla produce effetti amplificati. I futures sui vari metalli sono al livello più alto da diversi anni a questa parte e i prezzi delle materie prime colpite dalle restrizioni di Trump mostrano un trend in crescita. Ciò si ripercuote sull'economia americana con effetti negativi. Con tutti i loro modelli computerizzati "intelligenti" i consiglieri di Trump non sono riusciti a prevedere che cosa succede al prezzo di una merce se la si rende artificialmente scarsa.

2016: Donald Trump e l'isolazionismo americano
2017: Il grande collasso

Metamorfosi

Il 27 aprile Kim Jong Un, leader della Corea del Nord, ha attraversato la terra di nessuno che, sul 38° parallelo, segna la sospensione della guerra del 1953. Nello stesso momento Moon Jae-in, il leader della Corea del Sud, ha fatto altrettanto. I due si sono incontrati come vecchi amiconi stringendosi la mano e sfoderando sorrisi hollywoodiani. Era la prima volta che un leader del Nord si recava al Sud, passando oltre la linea fatidica con una mossa fuori protocollo. Ma come? Appena qualche settimana fa Kim Jong Un era il demonio in Terra, il capo di uno stato-canaglia in grado di scatenare una guerra atomica, uno dei più abbietti dittatori che mai abbiano calpestato diritti umani, un assassino capace di ordinare sommarie esecuzioni fra gli avversari politici anche all'estero, l'esponente di una satrapia ereditaria fuori dalla storia. Adesso, improvvisamente, "la guerra è finita… sta succedendo qualcosa di buono". Firmato: Donald Trump.

2007: Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio
2016: Donald Trump e la politica estera di un ex colosso imperialista

Viva Bio

Se per concimare un campo di granoturco occorrono 3 quintali di fertilizzante chimico, per ottenere lo stesso raccolto con letame ne occorrono 50 quintali. Che costano incomparabilmente di più. Sempre che si trovi il letame. Questo è il motivo per cui negli Stati Uniti, malgrado la grande richiesta di cibo biologico, su 90 milioni di acri coltivati a mais meno dello 0,5% applicano il disciplinare biologico. E siccome per avere la bistecca bio bisogna alimentare i vitelli con latte bio, mais bio e soia bio, è facile intuire, dato il misero rendimento calorico della carne, che un ciclo integrale bio è matematicamente impossibile. Infatti, se è vero che dal 2014 al 2016 gli Stati Uniti hanno aumentato la produzione di mais biologico del 28%, è altrettanto vero che ne hanno aumentato l'importazione del 444%. Naturalmente per mantenere intatta la rendita differenziale bio, occorre investire più capitale e applicare più forza lavoro, per cui, con il capitalismo, non si potrà mai avere cibo biologico su larga scala. Sarà sempre cibo di nicchia con un forte differenziale di prezzo.

1953: Mai la merce sfamerà l'uomo
2013: L'uomo è ciò che mangia

Integrando

In Italia sono in vendita 72.540 tipi di integratori. Nel 2017 il 65 per cento della popolazione adulta ne ha consumato almeno uno. Mediamente, ogni italiano ha usato 2,5 tipi di integratori. Non solo non hanno gli effetti benefici che promettono ma sono per lo più dannosi, si consumano solo nell'illusione che aiutino in qualche modo a sopportare una vita senza senso. Così il 35% di chi li compra lo fa per avere più energia, il 28% per affrontare problemi particolari, il 22% per prevenire malattie di cuore o dovute all'età, il 15% per il benessere generale contro l'ansia. In Europa la spesa totale è di 12 miliardi e l'Italia copre il 20%. Ovviamente i campioni della vita senza senso rimangono gli americani, che consumano 90.000 prodotti spendendo 30 miliardi.

2005: Una vita senza senso

Guardie e ladri

L'Agenzia Nazionale per le Politiche attive del Lavoro ha condotto una sperimentazione su 28 mila disoccupati percettori di Naspi cercando di indirizzarli a trovare un nuovo impiego. L'esito è stato disastroso rispetto alle aspettative: solo il 10 per cento ha risposto alla chiamata, il restante 90 per cento si è defilato, preferendo il sussidio all'eventuale lavoro. Il campione di 28.000 elementi può non essere rappresentativo, quindi il progetto è stato esteso a un milione di disoccupati. In questo gioco a "guardie e ladri" in cui gli sbirri cercano schiavi che si sottraggono alla cattura non può esserci un vincitore: il milione di posti di lavoro semplicemente non c'è.

1997: "Diritto al lavoro" o liberta' dal lavoro salariato?
2000: Tempo di lavoro, tempo di vita

Terre amare

Nel 2017 la Cina ha prodotto 105.000 tonnellate di terre rare, l'81% della produzione mondiale. Le riserve mondiali sono stimate a circa 120 milioni di tonnellate, delle quali il 35% in Cina, il 18% in Brasile, il 15% in Russia. Le terre rare sono alla base di molte produzioni, specie nel comparto delle tecnologie avanzate. Dal punto di vista quantitativo non sono affatto rare, ma sono difficili da estrarre e purificare. Ciò significa che possono essere prodotte solo se il loro prezzo giustifica l'anticipo di capitale necessario all'estrazione e alla lavorazione. Quindi non è vero che la Cina è monopolista mondiale di questi minerali: lo è solo nella misura in cui continua a produrli al prezzo attuale. Se dovesse diminuire la produzione per far aumentare i prezzi, come qualcuno paventa, diventerebbero "coltivabili" riserve oggi non sfruttate in altri paesi. Nei prossimi anni il pericolo di scarsità non verrà dunque dalla volontà cinese di limitare la produzione: al contrario, sarà il cresciuto fabbisogno interno a farla aumentare (dalle 90.000 tonnellate del 2014 alle 150.000 previste per il 2020).

2012: Numero speciale sull'energia
2014: Verso il collasso epocale
2016: Litio

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